“Prepariamoci, prima” disse la ragazza. “Non sappiamo cosa ci aspetta qui sotto…”
Caricando il Gunblade, la ragazza non potè fare a meno di chiedersi il perchè di quella missione. Era risaputo da anni l’esistenza di quel centro ricerche e si sapeva anche che, malgrado le condizioni, Esthar non aveva mai interrotto gli esperimenti: perchè solo dopo anni il governo non solo si ricorda di avere un laboratorio fuori dalla rotta consentita ma anche che va distrutto con la massima urgenza.
(Ma per favore) pensò la ragazza, alzandosi e facendo cenno ai compagni di seguirla. (Evidentemente qualcosa è andato storto e allora Esthar, per evitare grane, vuole distruggere tutto in modo che sembri un incidente). Non poteva tuttavia sentirsi incuriosita: che incidente poteva aver spinto Esthar a voler distruggere una costruzione come quella, per cui avevano dedicato tempo e partrimoni. Continuò a domandarselo, mentre scendevano per il buco. Ad un certo punto, toccarono il suolo; un corridoio continuava verso una zona completamente avvolta nel buio e nel silenzio più totale. Se non fosse stato per il peso del Gunblade che sentiva al fianco, avrebbe temuto di venir presa da qualcosa. Non le piaceva il buio: le sembrava freddo e vuoto. Ne aveva paura, come i bambini.
Del resto, lei non era una bambina? Una piccola bambina che aveva visto il suo corpo crescere, maturare e sbocciare in una splendida ragazza con capelli d’ebano, occhi azzurri ed un sorriso innocente ed ipnotico, capace di disorientare chiunque. Bella ma pericolosa, come la descrivevano i suoi amici. Del resto, mai e poi mai si sarebbe detto che una ragazza esile come lei brandisse senza problemi un’arma come il Gunblade, pesante e difficile da padroneggiare. Aveva letto che nel mondo i Gunblader erano tre, due dei quali erano nel Garden di Balamb. Nella sua giovialità, si era più volte chiesta chi fosse il terzo e si era ritrovata a pensare che sarebbe stato bello se si fosse scoperto che era anche lui in quel Garden. Molto probabilmente, Seifer non avrebbe fatto altro che cercare di sfidarlo ad ogni momento buono. Ridacchiò piano all’idea.
(Però…io potrei fare amicizia con lui…) pensò, accendendo la torcia elettrica e continuando per il tunnel buio, che si rivelò essere un corridoio. (E se fosse carino…chissà…magari gli concederei un appuntamento…ma che sto pensando?). Scosse la testa. (Se fosse al Garden, lo sapremmo. E poi, non è assolutamente detto che sia un ragazzo, né che sia carino…con la fortuna che ho, magari è pure gay…).
“Insomma, Rinoa” ringhiò Seifer, facendola tornare alla realtà. “Siamo in un corridoio in cui non mi vedo neanche i pantaloni dentro un laboratorio di sperimentazione genetica abbandonato: non mi pare ci sia molto da ridere…se devo dirla tutta, mi sento alquanto nervoso”.
“Hai paura?” chiese Zell, dietro di lui.
“Sei fortunato che non ti vedo, gallinaccio…”.
“EHI!”.
“Vogliamo finirla qua davanti?”.
“No, è che pensavo…” rispose Rinoa. “Pensavo che sarebbe interessante conoscere il terzo Gunblader. Non credi, Seifer?”.
“Effettivamente, non mi dispiacerebbe…” rispose lui.
“Magari è forte, carino…” commentò Selphie. “Magari un tipo tranquillo e serio, che non parla molto ma che sa essere un vero amico”.
“Sel, non è detto che sia un uomo…” rimbeccò Rinoa.
“No, è un uomo” disse Irvine. “Non so spiegarvi perchè ho questa certezza: sento di sapere che è un uomo ed anche io me lo immagino come l’ha descritto Selphie”.
“Ehi! Anche io!” esclamò Zell.
“Ragazzi, non è che siete dell’altra sponda?” commentò Seifer.
“Ma tu senti questo!”.
“Gallina che canta e quella che ha fatto l’uovo…”.
“Che intendi con gallina!!?”
“Sì, e chi nega si frega”.
“E allora!” esclamò Rinoa. “Vogliamo sederci a fare un po’ di salotto o possiamo continuare con la missione?”.
In realtà si stava divertendo un mondo. Sentire Zell e Seifer che si punzecchiavano a vicenda le faceva venire il buon umore. Ma erano in missione e, anche se a malincuore, dovette farli stare zitti.
Improvvisamente, il fascio di luce della torcia illuminò una porta. Dalla fessura sotto si poteva vedere un piccolo fascio di luce. Rinoa rimase a guardare sotto la porta. In tutta quell’oscurità, quella sottile lama color giallo spento proiettava le ombre dei granelli di polvere che avevano sollevato. Danzavano, portati dall’aria ed illuminati dalla luce.
Rinoa preparò il Gunblade. Se la luce era accesa, dentro c’era qualcuno. I compagni la imitarono ed Irvine fece due passi indietro, preparandosi a sfondare la porta.
“Rin” sussurrò Selphie, concentrandosi. “Chi pensi ci sarà dietro questa porta?”. Lei scosse la testa.
“Non ne ho la minima idea” rispose, tirando il cane del Gunblade. Sentì Seifer fare lo stesso. “Ma lo sapremo presto”.
“E se ci fosse lui?”. La domanda colse Reina impreparata. Già…e se ci fosse stato lui?
“Non conosciamo il suo volto: se c’è lui qui dentro, lo sapremo solo quando ci attaccherà…nervi saldi e non abbassate la guardia” rispose.
Non era preparata ad incontrare lui. Insomma, cosa avrebbe potuto fare? Come avrebbe dovuto comportarsi? Che cosa avrebbe dovuto dire? Cercò di scacciare quei pensieri: stavano per entrare in una stanza e molto probabilmente avrebbero trovato qualcuno dentro. Doveva svuotare la mente e comportarsi in maniera più professionale possibile. Ci riuscì per pochi secondi, ma che furono sufficienti per dare il via all’operazione.
Il calcio di Irvine sfondò la porta e, immediatamente dopo, puntò il fucile dentro la camera. Rimase perfettamente immobile, con un’espressione stupita sul volto, poi, con un sorriso si mise dritto, appoggiandosi il fucile alla spalla.
“Beh, qualcuno c’è…” disse. “Ma non credo che possa costituire un problema”. Rinoa si sporse: la scena che vide la fece arrivare ad un passo dallo scoppiare a ridere.
C’era un ragazzo, legato ad una cella con una catena al collo ed una ciotola accanto. Sul collo, qualcuno aveva disegnato un osso ed aveva scritto dentro Fifì. Il ragazzo era pallido e sul punto di svenire: li guardava con occhi smarriti e terrorizzati.
“Chi siete?” chiese. Aveva una voce bassa e fredda, ma il viso, deturpato da un lungo taglio sopra il naso, era straordinariamente emotivo. La ragazza si riscosse: non conosceva il suo nome, ma aveva la sensazione di averlo già visto da qualche parte.
“Siamo SeeD del Garden di Balamb” rispose Zell, mentre Selphie riponeva l’arma e lo slegava. “Abbiamo ricevuto l’ordine di distruggere questo laboratorio”. Il ragazzo, libero dalle manette, si strofinò i polsi feriti.
“Non mi lascerete mica qui?!?” commentò. Rinoa scosse la testa e sorrise, per rassicurarlo. Seifer si fece avanti.
“Sai usare una pistola?” chiese, porgendogliene una. Lui si ritrasse.
“Non mi piacciono le armi” borbottò, distogliendo lo sguardo. Il SeeD non demorse.
“Sei un ricercatore?” chiese. Il ragazzo scosse la testa.
“È la prima volta che vedo questo posto” rispose. “Ricordo solo una forte botta in testa, poi il buio: mi avete svegliato sfondando la porta”. Rinoa mandò Irvine e Seifer a perlustrare la zona, nella speranza di incontrare lui.
“Se lo incontrate, cercate di tenerlo occupato” ordinò. “Seifer ingaggerà con lui e lo attirerà qui, mentre Irvine tornerà indietro e mi avvertirà. Se veramente è qui, scapperà”.
“Fatto, puoi alzarti” disse Selphie, lanciandogli un’ultima Energia. Il ragazzo si rizzò sulle gambe e si stirò la schiena. Poteva avere sulla ventina, alto e magro, con folti e lunghi capelli castani ed occhi grigi.
Vestiva con una giacca nera con il colletto a pelliccia sopra una maglietta bianca, un paio di pantaloni neri e tre cinture allacciate alla vita. Si volse verso Selphie e sorrise. Un sorriso bello, luminoso, che acuì la sensazione di Rinoa di averlo già visto.
“Grazie…ehm…” disse. Selphie sorrise.
“Selphie Tilmitt” si presentò. “Il tipo che ha sfondato la porta è Irvine Kinneas, lui è Zell Dintch e lei è Rinoa C. Heartilly. Tu sei…?”.
“Mi chiamo Squall Leonhart” si presentò il ragazzo. La Gunblader, sentendo quel nome, non poté più resistere.
“Scusa, ma noi ci conosciamo?” chiese. Il ragazzo le rivolse un’occhiata interrogativa. “Da quando ti ho visto, ho come la sensazione di averti già conosciuto…”. Il ragazzo scosse la testa e si voltò verso il muro.
“Non credo…” rispose. La voce si era fatta bassa e grave. “Dubito che tu mi conosca…”. Si volse e le sorrise. Fu un sorriso esageratamente sforzato.