[Fan Fiction] DN-Angel : Capitolo 6 : Delusione

Tornando dall’allenamento quotidiano, Rinoa, non riusciva a capire perché si sentisse così: le formicolava tutto il corpo, un insopportabile calore la invadeva ed il cuore batteva come se volesse uscire. Poi ricordò che era sabato.

Il che significava che aveva sì e no un’ora e mezza per prepararsi ed incontrarsi puntuale con Squall. Scosse la testa e si affrettò verso la sua camera.

(Se proprio devo farlo, d’accordo) pensò, leggermente stizzita. (Ma solo perché ho bisogno di capire: dopo questa sera, non ci sarà più neanche una chiacchierata tra noi due).

Selphie la descriveva come una ragazza onesta con tutti, tranne che con sé stessa. Aveva ragione: in quel momento pensava che se quella sera il ragazzo avesse tentato di fare qualcosa di strano lo avrebbe legato nudo ad un Kyactus, ma non si rese conto che sperava almeno in una presa per mano.

Spettinata e sudata, entrò nella sua camera, vi si chiuse dentro e si spogliò, aprendo l’acqua calda. Ma poi, in fondo, perché aveva accettato? Per capire, certo, ma la SeeD le aveva insegnato ad essere molto…persuasiva, diciamo. E allora perché non gli aveva lanciato un piccolo Thunder per poi salire lentamente di potenza se si fosse rifiutato di parlare? Aveva veramente dovuto accettare quell’invito? Cominciava a dubitarne ed il sospetto fu confermato quando si scoprì a pensare ad Ellione con un perfido sorriso di vittoria stampato sul volto. Chissà come ci sarebbe rimasta? Si vedeva lontano un miglio che gli perdeva le bave dietro: chissà come ci sarebbe rimasta se avesse saputo che Squall usciva proprio con lei.

Già, Squall. Come doveva comportarsi con lui? Partire con le domande a raffica oppure godersi la serata e sparpagliare le domande? Se le aveva proposto questo compromesso, almeno alcune risposte le avrebbe avute.

(Non mi interessa altro) pensò. (Certo, è un bel ragazzo, ma non ho intenzione di avere con lui un rapporto troppo…). Interruppe i suoi pensieri: il suo corpo aveva agito da solo per tutto il tempo. Mentre pensava, si era lavata, asciugata, truccata e, in quel momento, si stava guardando allo specchio, che le restituiva la sua immagine che indossava un abitino color perla che si era messa per l’ultima volta al ballo di benvenuto delle nuove matricole, quando aveva conosciuto Seifer: l’abito più bello che aveva.

“Ma che diavolo…?” mormorò. Fece per cambiarsi, ma le lancette dell’orologio la informarono che non avrebbe fatto in tempo. Sospirò, afferrò la borsa ed uscì dalla stanza, pregando che Squall non la mettesse troppo a disagio.

Quando arrivò all’ingresso, quasi non lo riconobbe: i capelli, sempre spettinati e ribelli, erano lisci e lucidi. Indossava una camicia bianca sotto una giacca nera ed un paio di jeans. Al dito indice, notò aveva un anello d’argento. Il colletto leggermente sbottonato le diede un fugace attimo di fantasia, che soppresse immediatamente. Due cinture erano fissate alla terza, scendendo lungo le gambe, che battevano contro il parapetto della hall, in un chiaro tentativo di sfogare la tensione. La ragazza lo guardò.

(Mi correggo) pensò. (Non è bello: è stupendo…). Scosse la testa, si diede della cretina e si avvicinò con passo spedito e decisamente poco aggraziato. Ma il ragazzo, quando la vide, sembrò non far caso ai passi pestati e nemmeno alle braccia, che ciondolavano ampiamente ad ogni passo. Alzò la mano e la salutò con un largo sorriso, ma non urlò il suo nome: Rinoa lo prese come un inizio accettabile.

“Ciao…” salutò stancamente. “Scusa il ritardo; ho avuto dei problemi con il guardaroba”. (In effetti, non avevo neanche pensato a questo vestito per uscire con lui…).

“Problemi?!!” ripeté lui. “Sei stupenda!”. Davanti a quel complemento, la giovane SeeD arrossì e guardò altrove, sentendosi lusingata.

“Beh, anche tu hai dei vestiti che non ti avevo mai visto addosso…” disse lei. La verità era che gli davano un’aria di mistero: stranamente, Rinoa notò che l’aria misteriosa gli stava bene. Lui sorrise e si sistemò la giacca.

“Sembro una persona seria, vero?” disse. “Beh, vogliamo andare?”. Lei annuì. S’incamminarono verso il garage. Rinoa notò che Squall teneva le mani in tasca. Meglio, pensò, i patti se li ricorda. Tuttavia, non poté fare a meno di sentire una sorda voglia di prenderlo a braccetto.

(Mi dovrà spiegare anche questo) pensò.

Raggiunsero Deling City in mezz’ora, senza parlare: lasciarono che la situazione e la radio riempissero l’aria. Rinoa non sapeva come cominciare un dialogo e lui non le metteva fretta. Parcheggiarono accanto al deposito dei pullman e s’incamminarono per una via.

“Allora” disse infine il ragazzo. “Se non sbaglio, avevi delle domande…”. Lei annuì.

“Il fatto è che da quando ti abbiamo trovato non faccio che provare strane sensazioni” cominciò lei. “Sento che noi due ci conoscevamo già prima di trovarti laggiù e…che non ti sfugga con nessuno, ma sento come se tra noi due…beh, ecco…”. L’imbarazzo non le permise di finire la frase, ma il rossore sul viso di Squall la informò che aveva capito comunque.

“Strano, eh?” commentò, rivolgendole un sorriso tirato.

“E poi un’altra cosa” disse ancora. “Mi spieghi perché diavolo ti sforzi di sorridere quando facciamo questo tipo di discorsi? Cosa credi, che non mi sia accorta che fingi di sorridere?”. Attimo di silenzio.

“…ops” borbottò. Rinoa s’accigliò.

“Io ho accettato di uscire con te: adesso tocca a te rispettare il patto” disse. Il ragazzo si fermò.

“Cioè, fammi capire” disse. “Hai accettato di uscire solo per avere risposte?”. La ragazza strabuzzò gli occhi, come se la risposta fosse ovvia.

“E per quale altro motivo sarei dovuta uscire con te, scusa?” rispose. Negli occhi del ragazzo le sembrò di vedere una luce spegnersi.

“Ho capito…” disse lui, freddamente. Lei pensò che quel tono non gli si addiceva neanche un po’. “Hai la sensazione di avermi già visto perché ci siamo già visti. E ti dico anche dove, quando e che abbiamo fatto: all’orfanotrofio dove stavo io, sei venuta con i tuoi genitori il giorno del mio decimo compleanno. Abbiamo giocato insieme e tu, con la sabbia, mi hai fatto una piccola torta di compleanno; ricordo che mi hai detto che ti sarebbe piaciuto festeggiarlo come se ci conoscessimo.

“Quando poi ve ne siete andati, hai sgraffignato ai tua madre due monete da cinque guil, sei andata ad una macchinetta con le palline a sorpresa ed hai comprato due sfere: in una c’era un piccolo fermaglio per capelli e nell’altra c’era questo”. Alzò la mano e le mostrò l’anello che portava. “Me lo hai dato e mi hai promesso che, se e quando ci saremmo rincontrati, saremmo rimasti amici e nulla sarebbe cambiato: ecco tutto. Per questo, ogni volta che mi chiedi se ci siamo già visti prima mi incupisco.

“Mi rendo conto che sono passati ormai più di sette anni: quindi cerco di non fartene una colpa. È perfettamente normale dimenticarsi di una cosa successa da bambini”.

“Eppure tu non te ne sei dimenticato…” mormorò Rinoa. Lui scosse la testa.

“Assolutamente no!” rispose lui, deciso. “E l’anello mi ha dato una mano a ricordarmi di quel giorno tutte le volte che lo guardavo. Sei soddisfatta della risposta?”. Lei annuì.

“Si…” rispose. Lui distolse lo sguardo. Anche gli occhi, come la voce, erano diventati gelidi e spenti.

“Beh, allora possiamo tornare al Garden” disse.

“Ma come! E l’uscita?”.

“Questa uscita serviva solo per sentire questa storia, no?” chiese lui, superandola ed incamminandosi verso la macchina. “Non ha più senso che stiamo qui: possiamo anche tornare”.

Rinoa non seppe cosa pensare: un’ora prima non stava nella pelle ed ora stavano tornando al Garden. Squall aveva lo sguardo fisso sulla strada, serio come non mai e non le parlava. Che fosse arrabbiato per quello che gli aveva detto? Scosse impercettibilmente la testa.

(Sapeva che saremmo usciti solo per questo) pensò. (E poi, quello che ho detto è vero: per quale altro motivo dovrei uscire con lui?). Tuttavia questi pensieri, creati per farla stare meglio, la fecero sentire sempre più in colpa. Arrivati al Garden, Rinoa si volse verso il dormitorio, mentre Squall verso il giardino.

“Allora…ci si vede in giro?” chiese, ma lui, senza dire una parola, se n’era già andato.


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