[Fan Fiction] The Ultimate Weapon : Capitolo 15

“Dunque, credo di essere riuscito a riprendere il normale svolgimento della fan-fic, che si stà avviando verso la parte conclusiva. Questo è un capitolo di passaggio, ma piuttosto importante. Eccolo a voi!”


La più facile da trovare delle armi finali, fu quella di Quina come, infatti, disse Hades: la “gnam-forchetta” era stata forgiata per uno dei più grandi Qu mai esistiti, che oltre ad essere un grande cuoco, gastronomo, ed eminente biologo, fu quello che scoprì come apprendere le potenti magie blu divorando le fiere per il mondo, e che ruolo del Qu non era solo insegnare e imparare “l’arte der magnà” ma anche quella di proteggere il suo clan. La gnam-forchetta era conosciuta come “arma finale” perché pose fine all’eterna diatriba all’interno dei Clan su quale fosse l’arma più versatile e utile a un Qu da usare sia per combattere che per mangiare. L’arma pare che sia stata ereditata di generazione in generazione finché non venne sbadatamente persa in viaggio da Quan, il “nonno” di Vivi. Fu Quera a trovarla molto tempo dopo nel fogliame della palude e fu fiera di consegnarla alla discepola:

«Quina st’arma è la Gnam-forchetta, er forchettone utilizzato da li mejo maestri Qu, che dice che po’ inforchettà qualsiasi cosa. Io nun sò in grado de usalla, per cui t’a cedo.»

Il forchettone, era veramente qualcosa di fantastico: era lungo come un qualunque forchettone utilizzato da Quina in passato, e aveva sulla base del lungo manico una gemma color rubino che splendeva ardentemente; le tre punte che costituivano l’arma sembravano più l’artiglio di una qualche creatura mostruosa che delle semplici appendici per infilzare una porzione di cibo; erano gialli e leggermente seghettati, ma stranamente provando anche forza a strofinarci sopra un dito, esso non tagliava. Anche se all’apparenza non aveva la classica forma ricurva della posata, era stata fabbricata in modo da poter raccogliere qualsiasi cosa e di non farla cascare se non ributtandola nel piatto capovolgendola. Ma la cosa migliore, era che non trasmetteva il benché minimo calore alla mano e che portando alla bocca una pietanza che stava cuocendo, riusciva a far sentire alla papilla gustativa il perfetto grado di cottura senza correr rischio di scottarsi, effetto che magicamente spariva una volta servita la pietanza a tavola. Almeno così disse Hades. «Grazzie signora maè! Sarà orgojiosa de me, ce po’ giurà!» ringraziò Quina come al solito. «’O so già, fijia mia. Portala a stò fabbro, che io c’ò da preparamme pè annà via.» le disse girandosi per non mostrarle gli occhioni inumiditi.

Più difficile fu trovare la lancia per Freija che si trovava nell’altopiano roccioso a ovest di Oilvert. Hades raccontò che venne a sapere che fu murata, poiché il successore dell’acquirente (che non era suo figlio) aveva rischiato di distruggere la sua città, tanto l’arma era ingovernabile. Infatti, il fabbro ricordò che sull’arma era solito applicare una gemma in cui era stata messa una goccia del sangue del destinatario, a cui veniva imposto un incantesimo che la rendeva ingovernabile se qualcun altro provava a usarla. L’arma era annoverata tra le “finali” perché il leggendario re draghiere che la usava, uccise con quella un folle drago che aveva la rara capacità di parlare, e che si spacciava di essere nient’altro che il figlio illegittimo di Bahamuth, il re dei draghi. Gli sciamani di Madain Sairi scoprirono che il potente drago ne era altamente scontento, e che chiese al più potente uccisore di draghi, persone che solitamente odiava, di farlo fuori donando a lui e a chiunque altro volesse diventare draghiere la possibilità di usare le tecniche speciali “Drakonik” le stesse che usava anche Freija. Poiché la sicurezza che effettivamente la bestia non fosse il vero figlio del re dei draghi non c’era, si pensò di fabbricare una lancia usando i baffi di un potente drago nero serpentino di nome Kokusho, che era rimasto imbattuto per tutta la sua vita. Quando un giorno morì relativamente giovane per una strana malattia (la leggenda narra che fu avvelenato dal drago folle, forse perché sospettava che era Kokusho il vero figlio di Bahamuth), gli tagliarono i “baffi”, termine riduttivo per indicare quelle lunghe protuberanze che sono il punto più importante per un drago di quella specie. Tramite essi la fiera tastava l’aria, traeva energia dall’etere per i suoi incantesimi, oppure le usava come semplice arma opzionale. Anche se non erano dello stesso materiale delle classiche scaglie che ricoprivano tutto il corpo, saldarle e fonderle per creare un’arma era ugualmente difficile soprattutto per la grande energia che contenevano che rischiava di essere dissipata. Le leggende non narrano dettagliatamente come il re uccise il drago impazzito, ma l’unica cosa che si sa riguardo alla lancia è che era in grado di fendere il cielo allo stesso modo di come fendeva la terra. Così l’asta venne giustamente chiamata “Baffo di drago”. Freija prese in prestito un chocobo rosso dai Tantarus, e venne accompagnata da Flatrey sul posto, poiché non era ancora pratica nel cavalcarlo.

«Sicura che non vuoi che la cerchi io?»

«No Flatrey. Se queste armi hanno delle caratteristiche che contano sulla “personalità” di chi le impugna, devo dimostrare di essere in grado di impugnarla. Suona strano riferito a un oggetto, ma sai che adoro questo genere di cose. Augurami buona fortuna.»

«Buona fortuna, e stai attenta.» le disse baciandola. La draghiera cavalcò il chocobo fin sul ripiano medio dell’altura, alla ricerca di un indizio, ma sapeva che non sarebbe stato facile: solo Choco aveva la capacità paranormale di trovare i tesori nascosti, e in alcuni casi riusciva a trovarli in corrispondenza di alcune bolle sulla superficie marina (stranamente assenti nel caso dell’Ultima) o di spaccature o di crepe sul terreno, non facili da individuare in quella terra secca e riarsa dal sole. Freija aveva in mano un grosso peperoncino rosso bordeaux (“Questo è francese…!” N.d.A.), giustamente definito pepe mortale, che veniva usato dai cavalieri di chocobo, per aumentare la potenza della beccata del pennuto. Improvvisamente da una fenditura stretta e lunga, la draghiera percepì la tipica aura di un drago nelle vicinanze. Intuì che in realtà si trattasse della lancia, ancora permeata del potere del drago nero, e diede il “pepe mortale” al pennuto, come gli venne detto, che lanciando un forte stridio si avventò contro la parete beccando come un mitragliatore in punti diversi la frattura ad una velocità incredibile. Non aspettandosi uno scatto del genere, Freija scivolò dalla sella e nonostante gli sballottamenti riuscì a tenersi a una delle briglie. Ripresasi dalla caduta, dovette reprimere un’imprecazione, che di certo poco si addiceva alla sua figura, perché rimase meravigliata da ciò che vide: dinanzi a lei si stagliava un’enorme scultura di un drago serpentino con due lunghi baffi nell’atto di scagliarsi contro un nemico. La statua era stata scavata direttamente nella roccia, ed era ancora parzialmente ricoperto di pittura nera e rossa sui fianchi: era alta almeno otto metri, ma la sua posizione aggrovigliata ingannava sulla sua reale lunghezza; la bocca stretta e lunga era aperta, e sulla testa aveva due enormi corni che andavano all’indietro, e sulla nuca aveva delle strane formazioni fatte di ferro, da cui partivano delle spine a forma di dente di squalo che seguivano tutta la sua lunghezza. Freija guardò in alto e notò che i due lunghi baffi appena sotto le narici, ogni tanto emettevano un piccolo bagliore. Forse era quello il posto dove era stata nascosta la lancia. Fece un salto con l’intenzione di atterrare sopra alla testa, ma una volta giunta all’altezza della bocca aperta, dall’interno delle fauci risalì un forte bagliore verso l’esterno. Capendo immediatamente la situa-zione, Freija ebbe solo il tempo di esclamare:

«Oh, mannaggia.» prima di essere colpita da una forte esplosione magica che la fece ricadere a terra. Nonostante la forte luce emessa, l’incantesimo di difesa non gli procurò molti danni, salvo qualche bruciatura nel vestito: Freija era abituata a colpi ben più forti. Riatterrando in posizione felina, cominciò a immaginare una possibile scalata della statua, quando all’improvviso sentì una voce possente:

«Chi osa entrare nel santuario dedicato a Kokusho, drago della notte, e al suo tesoro?» La draghiera rimase stupefatta. Aveva sentito si di allucinazioni uditive da qualche credente un po’ spiritato, ma questo era ridicolo. Infatti non rispose.

«Riconosco che sei una persona che usa le tecniche della mia stirpe…» disse la voce.

Bene, le cose erano due: o quel luogo era infestato, oppure stava cominciando a impazzire. Però c’era solo un modo per provare la prima opzione:

«Sì, sono una draghiera.» rispose molto dubbiosa, quasi come se dubitasse di essere ascoltata. Invece la voce continuò:

«Il meccanismo di difesa della mia statua non ha sortito danno su di te, segno che sei discendente di coloro che hanno costruito questo santuario in mio onore… sei qui per la mia lancia, vero?»

«Sì, o potente. Ho bisogno del baffo di drago per…»

«Non ho bisogno di spiegazioni: conosco le tue ragioni, Freija di Burmecia, e so che te e il tuo popolo avete passato delle sofferenze indicibili, di cui mi rattristo. Ma so che hai riguadagnato la felicità, e ciò ti rende degna di impugnare la mia lancia.»

Dalla testa del drago la luce irradiata dai baffi divenne più intensa e accecò Freija che dovette coprirsi gli occhi con la mano. Quando la luce cessò, dinanzi a se vide il leggendario “Baffo di Drago”: l’asta era formata da un motivo elicoidale viola intrecciato che andava a confluire nella punta della lancia, e all’inizio di essa vi era una gemma scura a forma di artiglio di drago, dove ancora turbinava la goccia di sangue del re draghiere; all’altra estremità della lancia vi era stata applicata una decorazione a forma di testa di drago arancione a bocca chiusa, dove i baffi neri andavano ad unirsi alla punta, nera anch’essa; non era né pesante né leggera, ed era perfettamente bilanciata nonostante il peso presente ad una sola estremità. Freija alzò gli occhi verso la statua, ma vide che misteriosamente era scomparsa. Riguardando la sua nuova arma, si diresse determinata alla sua cavalcatura che la aspettava.

Qualche chilometro più in basso (caso strano che non si fossero incontrati), un piccolo idrovolante classe Cargoship lasciò due dei suoi passeggeri vicino al vecchio tempio del vento. Amarant l’uomo salamandra e Lanì la bella cacciatrice scrutarono insieme l’orizzonte a caccia di un indizio. «Certo, andare a cercare una città scomparsa… proprio ciò che avevo in mente di fare nel fine settimana!» esclamò la donna armata di tomahawk.

«Dobbiamo trovare quell’arma, se è così potente come quel fabbro disse. E non ci riuscirei da solo. E poi, meglio stare lontani da quel gruppo di mercenari puzzolenti no?»

«Ho nostalgia della mia bella tenda!» continuò lamentosa.

«Non serve per forza una tenda, per le cose che faremo più tardi…» le disse facendo una risata dall’alto valore significativo (“seeeh!!” N.d.A.) strofinandogli il naso con il suo. A quel gesto la cacciatrice fece un sorriso ammiccante e gli diede un bacio a fior di labbra alquanto sensuale. Il gigantesco omone, e la bella amazzone… sembrava quasi una favola. Era vero invece, da quando aveva cambiato testa e da quando Lanì si era pentita delle sue malefatte di Madain Sairi, si scoprirono innamorati e decisero insieme di fondare il campo dei “mercenari” poco lì vicino, che era composto da altri cacciatori di taglie senza passato desiderosi di un tetto stabile, e di alcuni mostri dei dintorni dai caratteri umanoidi come Gnoll, Troll eccetera. Cingendole i fianchi con mezzo avambraccio, resistendo con molta difficoltà a non far scivolare la mano più in basso, s’incamminarono a nord, l’unico posto dove poteva “nascondersi” una città. Raggiunsero la città di Zerxex e ne rimasero alquanto meravigliati: una città a strati costruita nella roccia era uno spettacolo invidiabile. Decisero di separarsi e di cercare in due zone diverse nei primi due livelli, intorno al grande palazzo spezzato a metà senza però chiedersi perché anni prima quella città non ci fosse proprio. Lanì cercava nei pochi edifici rimasti del secondo livello alla ricerca di quello che poteva sembrare un museo, un’armeria, magari una tomba: ma non trovò nulla del genere. Ogni tanto usava la sua arma per scavare nei ciottoli che ricoprivano la strada. La cosa strana in quella città, è che non c’era traccia di alcun essere vivente, umano o animale, nemmeno uno scheletro. Era come se la vita all’interno di quel posto non fosse mai esistita, nonostante le grandiose strutture diroccate che stavano vedendo. Cercò per diversi minuti ma non trovò nulla, anzi si accorse di essersi allontanata troppo. Fece per tornare indietro quando con la coda dell’occhio notò una persona e trasalì: anche se i vestiti e il colore dei capelli erano diversi, vide da lontano Gidan che dandogli le spalle camminava chino anche lui alla ricerca di qualcosa. Aveva sentito da Amarant ciò che era successo all’amico, e ora non riusciva a credere di avere poco lontano da se un semidio della morte. Pensò di dover fare qualcosa, tentare di attaccarlo e di richiamare Amarant per farsi aiutare. Chiamarlo adesso era impossibile, ri-schiava o di farsi sentire o di perdere di vista Trivia. Pian piano cominciò allora ad avvicinarsi senza fare il benché minimo rumore, difatti vide il nemico continuare a camminare incurante del pericolo. Lanì prese lentamente la tomahawk dalla schiena e la strinse con ambo le mani; allungò il passo e fece un silenzioso salto in lungo, caricando all’indietro l’arma per il colpo. Nei pochissimi secondi che la separavano dal bersaglio, vide che non era una persona vera, ma un’immagine riflessa che svanì quasi a comando: difatti vide il vero Trivia più vicino di dove si trovava l’illusione, stavolta di fronte a lei. Cercò di modificare la traiettoria scartando di lato il corpo ma un lacerante dolore alla spalla sinistra la bloccò in volo.

«Sei meno sventata di quanto sembri, bella cacciatrice: il mio colpo era diretto al cuore. Pensavi davvero che non avessi avvertito la vostra presenza?»

Dalla mano aperta di Trivia partiva un raggio nero a forma di lama stretto e lungo che trapassava Lanì da parte a parte poco sopra il seno. La decisione di cambiare posizione l’aveva salvata dalla morte istantanea. Il dolore e lo spavento non le facevano pronunciare parola. Pensò di mollare a terra la tomahawk sperando che il rumore richiamasse il compagno, poco prima di perdere i sensi. Amarant poteva ritenersi fortunato: trovò l’arma finale all’interno di uno scrigno vicino ad una cripta vicino al grande palazzo. L’arma era parecchio simile a quelle che aveva indossato in passato: un guanto di materiale simile al cuoio borchiato con sopra tre lame lunghe e leggermente ricurve; a differenza delle altre, le lame erano appoggiate al contrario sul dorso del guanto, e alla base delle nocche vi era un meccanismo collegato al palmo che tramite una leggera pressione, capì, faceva scattare le lame alla loro posizione di attacco. Ingegnoso, davvero. Il guanto era azzurro, le lame grigie scure metallizzato, e il piccolo meccanismo tendente al nero. Se lo infilò senza neanche pensarci e si alzò cercando con lo sguardo Lanì ma non la trovò. “Che stupida, si è allontanata troppo” pensò. Mentre girovagava, sentì un forte tonfo provenire dalla sua destra. Girandosi, vide la sua donna a mezz’aria infilzata da Trivia, e sembrava senza vita.

«Laniiiiiiiiì!!!» urlò disperato e spaventato. Inquadrò Gidan posseduto nel suo raggio di azione, e gli corse incontro estraendo dalle tasche due “Rising Sun” che lanciò contemporaneamente. Il nemico se ne accorse, cessò l’incantesimo che teneva sospesa la cacciatrice e fece uno spettacolare salto mortale all’indietro evitando le lame da lancio che esplosero al suolo. Iniziò a volare sopra il palazzo mozzo di Zerxex e vi diresse contro l’Ultima: improvvisamente alla base del rudere comparve un cerchio magico cosparso di lettere misteriose; il suolo cominciò a tremare e il palazzo iniziò a staccarsi dal suolo. Amarant in quel momento si sentì diviso in due: colpire di nuovo Trivia con altri due “Rising Sun” mentre era impegnato a completare l’incantesimo cedendo al sentimento di vendetta, oppure recuperare Lanì e scappare del terremoto che poteva tranquillamente far cedere i livelli della città. Vedendola distesa a terra sanguinante e pallida gli fece decidere la seconda scelta. Con un gran balzo arrivò nel posto dove era svenuta, la prese con ambo le braccia e iniziò a correre il più velocemente possibile, evitando i crolli di porzioni di edifici e le voragini che incominciavano a crearsi nel terreno. Uscì dalla città appena in tempo per vedere l’intero palazzo di Zerxex lievitare sopra la città circondato da una forma blu-verde trasparente che terminava in un puntino rotondo, che identificò come Trivia. Il rudere venne poi inglobato da una specie di buco nero e sparì insieme a colui che l’aveva invocato. Poi rivolse lo sguardo a Lanì: la ferita sanguinava copiosamente, e intorno ad essa cominciavano a spuntare sulla pelle delle ramificazioni nere. Non occorreva essere uno sciamano per capire che era una sorta di veleno, e se che se si fosse diffuso ulteriormente sarebbe morta. Temendolo, castò un “Chakra” ma non sortì alcun effetto. Quel giorno poi erano usciti dal campo senza antidoti ne panacee, perché non pensavano che sarebbero servite. Lanì cominciò a impallidire mortalmente e non riprendeva conoscenza. Amarant si fece prendere dal panico, cosa che mai gli era successa neanche nelle battaglie più pericolose e da un forte senso d’impotenza per non poter aiutare la sua donna. Disperato, batté il pugno armato dalla nuova arma sul terreno, che venne irradiato da una luce bianca, liberando una densa polvere nera. Dal terreno riarso cominciarono a spuntare parecchi fili d’erba e non si avvertiva più il potere dell’oscurità nei dintorni di quella terra, che era stata letteralmente risanata. Dunque era quello il potere del secondo pezzo delle “Unghie runiche”. Gli venne in mente un’idea. Appoggiò la mano sopra la ferita e recitò:

«Potente arma, se sono davvero discendente del tuo antico padrone, aiutami: dammi il potere di salvare questa donna, perché è l’unica che abbia mai amato, e chi mi abbia amato. Ti prego!» e castò nuovamente “Chakra”.

Lanì venne illuminata da una luce azzurra, e le ramificazioni nere sparirono lenta-mente e l’emorragia cessò quasi immediatamente. Il pallore mortale svanì e Lanì cominciò a riprendere conoscenza, riaprendo gli occhi.

«Lanì, Lanì, mi senti? Mi riconosci?» le chiese ansioso sul punto di mettersi a piangere per la contentezza.

«Amarant…» pronunciò piano.

Dovette trattenersi dall’abbracciarla per il timore di farle male, e frugò nella sacca alla ricerca di una qualsiasi cosa che non facesse infettare la ferita ancora aperta, e trovò una vecchia erba medica. Le tolse la sciarpa e la usò come fasciatura legandola con un nodo. Mentre frugava, si rese conto di avere il “moguflauto”, quello con cui i ragazzi chiamavano i moguri: soffiò forte nello strumento che emise la melodia che era abituatissimo a sentire. Dopo qualche secondo arrivò a razzo Moguo.

«Che vuoi, kupò?»

«Per favore, aiutaci: a sud di qui, c’è un idrovolante Cargoship che ci sta aspettando. Digli di precipitarsi a nord fino a che non vedono una città non segnata sulla mappa e di preparare una stanza medica.»

«Ok, kupò!» e ripartì a razzo.

E riguardando la sua Lanì che lo fissava con uno sguardo che contava più di diecimila parole, Amarant capì perché Gidan era così fissato nel voler salvare le persone.

Mentre Trivia stava ponendo sopra l’Abisso dei cristalli il palazzo di Zerxex, sentì un forte mal di testa e poi una voce che conosceva bene quanto la sua:

«Perché continui a fuggire? Cos’è, non vuoi più liberarti di noi?»

«Sta zitto, Gidan Tribal.» rispose a voce alta.


“Sono fissato con Amarant, vero? Bè ho sempre pensato che lui e Lanì facessero una bella coppia. Specialmente con una donna del genere… dunque non preoccupatevi dei nomi nuovi o roba simile, sono solo passeggeri. Il nome ‘Kokusho’ mi è venuto in mente sfogliando un vecchio album delle carte magic, ho detto tutto… e che carta! Al prossimo capitolo, e vi preannuncio che ci sarà una grande e bellissima sorpresa!!! E ora via alle risposte!

Psyker: a veloce recensione, risposta veloce! Il personaggio è ben studiato, proprio per non renderlo “escluso ai più”.

Ricordate: se volete essere il migliore in una cosa, (woo!) bisogna battere il migliore di quella cosa!”


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