[Fan Fiction] The Ultimate Weapon : Capitolo 5

“Rieccomi, in quello che sarà l’ultimo capitolo del 2009!! Bè diciamo che ve ne ho fatte vedere di cose in quest’anno, ma questo nuovo sarà ancora più spettacolare! E come meglio salutarla con la mia maniera, ovvero con la mia catchphrase ispirata al grande The Rock: IF YA SMEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEELLLLL!!! WHAT THE ALEX… IS… COOKING!!!!”


Di nuovo a bordo, Gidan divenne più taciturno di prima: guardava continuamente la spada, e cercava di capire perché lo attraesse così tanto. Aveva lasciato la guida dell’Invincible in automatico, ed era seduto in un angolo a studiarla. Era veramente affascinante: non era molto lunga per essere una spada a due mani, sembrava persino che fosse stata ideata per essere usata anche a mano singola; l’elsa era di una robusta pietra nera, forse basaltica, e come paramano aveva uno strano motivo dorato che si diramava simile ai raggi del sole che si attorcigliavano; il colore della lama stretta era difficile da definire: era blu, simile ai riflessi che il mare faceva agli iceberg, vicino a dove era stata recuperata, ma era permeata anzi quasi balenata da una sfumatura verde chiara; le lettere della parola “Ultima” erano fatte di un comunissimo mithril, un metallo tanto ottimo quanto facile da trovare, che forse stonava un po’ con la ricercatezza degli altri minerali usati per fabbricarla. La superficie era fresca, ma solo a toccarla si aveva la certezza che fosse più dura del permafrost. Per quanto fosse attraente, comprese che si trattava semplicemente di un’antichissima spada, che magari non era neanche affilata. Si fece prestare un vecchio fodero da Blank e ce la infilò dentro, e la pelle calzò il metallo come un guanto.

L’Invincible arrivò a Madain Sairi in serata. Il vecchio villaggio degli sciamani era illuminato da diverse luci arancioni: visto da lontano sembrava un grosso albero di natale. Le impalcature per il restauro erano dappertutto, e si potevano notare pezzi di nuovi edifici che erano stati pazientemente ricostruiti mattone su mattone. Sotto uno di questi ruderi era stato trovato un condotto sotterraneo pieno di graffiti, formule sciamaniche antichissime, e lunghissimi affreschi che raccontavano la storia del villaggio, dalla scoperta dell’antico monile, per interrompersi improvvisamente con la sua distruzione. Quel posto era il più visitato dagli operai in pausa, e il preferito dagli aspiranti maghi e sciamani che non potevano chiedere di meglio per i loro apprendistati. Era lì a dirigere i lavori di traduzione Eiko, che benché avesse solo dieci anni non ancora compiuti sapeva farsi ben rispettare, abituata a dare ordini ai suoi moguri. Aveva degli occhiali in montatura dorata, con delle piccole lenti ovali, del tutto uguali a quelli del dottor Totto e sopra il suo abituale abito giallo e rosa, indossava un grembiule grigio di polveri. Era seduta inginocchiata su una sedia, e stava scrivendo sul tavolo impolverato una qualche traduzione. Quando arrivò Gidan smise tutto, posò occhiali e lapis, e gli saltò addosso abbracciandoselo e ridendo allegramente. Uffi-cialmente, il suo “principe a cavallo della cometa” stava con Daga, ma chi non poteva permetterle di spupazzarselo un po’ quando l’amica non c’era? Gidan, come al solito, non si scompose, anzi ricambiò l’abbraccio con la bambina alla quale voleva comunque bene. Posandola giù disse:

«Ora ti riconosco! In quel satin rosa con quella pettinatura stranissima e quei modi da principessina, non sembravi neppure tu!»

«Ah, Gidan, sapessi quanto ha insistito papà per farmi sembrare come era la mamma da piccola. Però è un ingiustizia! Tu non eri mica vestito elegante! Sembravi il solito ladruncolo… anche se io ero veramente degna di un cavaliere ?…» Gidan stavolta sorvolò. Tornò serio e chiese:

«Lei è qui?»

«Uffi!! E io che pensavo che eri venuto a trovarmi!» fece Eiko risentita. «Va bene, va bene, te la chiamo. È arrivata poco fa. Mikoto!». E dal buio uscì una longilinea forma femminile, con i capelli a caschetto biondi, occhi di un azzurro glaciale, e una coda anche lei bionda. Indossava una strana uniforme bianca con delle rifiniture rosse, che le lasciavano scoperte il ventre e che risaltavano le lunghe gambe. Mikoto era stranamente più alta di Gidan, nonostante tutti i jenoma erano alti quanto lui.

Sorrise a vedere il “fratello” come ormai lei lo chiamava, ma i suoi occhi non mo-stravano alcun sentimento. Benché si sforzasse di trasmettere qualche emozione, le rimaneva difficile, giacché la sua razza quasi non le provava. Parlò infatti con una voce molto fredda, quasi distaccata: «Sono contenta di rivederti: quanto tempo è passato, Forse sei mesi?»

Colpito nel vivo, Gidan calò la testa sul petto incapace di rispondere all’ennesimo rimprovero simile che poco tempo prima gli avevano rivolto praticamente tutti. Possibile che tutte le persone che amava gli rimproverassero questo fatto? Mikoto sorrise di nuovo, e questa volta sembrò quasi comprensiva:

«Non importa, so che hai tanto da fare. Che cos’hai da farmi vedere?». Il ladro si riscosse e prese la spada dalla fodera di pelle che aveva sulla schiena, e gliela porse con ambo le mani sulla lama. Mikoto la prese per l’elsa, e la maneggiò con una maestria che meravigliò Gidan. «Hai trovato davvero un’arma curiosa, fratello.» riprese la giovane Jenoma. «Da quello che riesco a comprendere, è che è stata fabbricata a Tera. Parecchio tempo fa anche. I caratteri con cui è scritto “ultima” lo tradiscono. Ricordano delle vecchie scritte risalenti al primo tentativo di attivare il flusso delle anime, all’ingresso di Branbal. Ecco perché sono in “comune”.» Gidan nel breve tempo che era stato nella città di Tera, non ricordò nulla del genere. Forse allora era troppo perso nei suoi pensieri. Proprio come adesso.

«Questa spada ha il potere sia di catalizzare, che di utilizzare e amplificare il potere del suo proprietario. Ha natura magica non c’è dubbio.» aggiunse Mikoto.

«L’ho notato quando l’ho trovata. Emanava un’aura del tutto diversa da quella circostante. Chi può mai averla messa lì? Ho appurato dal ghiaccio che la incapsulava che era stata posta su uno dei margini della vecchia isola. Chi può essere uscito da Tera, e poi ritornato dentro?»

«Se è tornato dentro. Garland una volta mi disse che passare da Tera a Gaya in antichità era molto più semplice. Ecco perché ad un certo punto pose i quattro specchi per sigillarne l’entrata. Può anche darsi che non sia tornato a Tera.»

Gidan quasi non badò più alle parole della “sorella”. Aveva lo sguardo fisso sulla spada, che con le sue sfumature continuava ad attrarlo.

«Cerca di non farci molto affidamento.» disse Mikoto notandolo. «In quest’arma percepisco un potere molto simile a quello del cristallo nero. Devi portarla là, e vedere che succede. È l’unica cosa che possiamo fare per capire cos’è quel cristallo e cosa c’è all’interno.»

Gidan si riprese la spada, la squadrò un ultima volta e la rimise nel fodero.

«La userò solo se necessario. Non preoccuparti. Senti Eiko, si è fatta una certa ora: non si cena in questo posto?» esclamò cambiando discorso. Dopo cena, andò a riposarsi ripromettendosi di controllare quel misterioso cristallo il giorno dopo. E cercare di non farsi di nuovo attrarre dalla spada.

Gidan arrivò all’Abisso dei Cristalli nella tarda mattinata seguente. Dopo il collasso di Lifa, non era più tornato in quel posto, nonostante si fosse ripromesso di farlo. Anche se quel posto gli rammentava brutti ricordi – la morte di Kuja e la sua caduta in coma- egli si stupì nel trovarlo bello. E bello lo era davvero: la conca semisferica era ripidissima sui fianchi, per poi raddolcirsi sul fondo che aveva la classica struttura di un cratere. Visti dall’alto, i cristalli sembravano ricoprire come un manto brillante tutta la sua superficie. Esso brillava di una luce violacea, ma non in maniera intensa e inquietante come la Frattura dell’Isola Splendente. La luce era quasi un riflesso che ogni tanto illuminava i fianchi della conca. Cercando di non perdere ulteriore tempo, Gidan si assicurò la spada sulle spalle e iniziò con cautela a calarsi sul crinale roccioso. Con sua sorpresa notò che ogni tanto dai fianchi quasi verticali spuntavano degli speroni di roccia orizzontali a intervalli regolari. Saltare da uno all’altro era davvero semplice. Evidentemente erano stati posti per favorire la discesa dei sorveglianti. “E poi come risalgono?” si chiese Gidan ormai in fondo. Di nuovo rimase meravigliato dallo spettacolo che gli si prestava davanti. I cristalli erano conficcati in terra, ed erano molto alti. Per fare un paragone, erano poco più alti di Amarant, e la loro larghezza variava con la forma. Certi avevano una forma cubica con una punta in fine. Altri sembravano dei diamanti giganti. Da alcuni dei più grandi crescevano lateralmente degli spuntoni affilatissimi, come fossero dei rami. Guardando la mappa che si era fatto dare da Mikoto, il Tantarus notò il cristallo misterioso che era quasi al centro del cratere ed era leggermente lontano dagli altri, che di solito erano molto ravvicinati, quasi a formare una foresta. Avvicinandosi notò con la sua nuova abilità di percepire la presenza di aure magiche diverse, che tra tutte le auree dei cristalli, una spiccava per la sua forza e che aveva un carattere più malvagio. Più si avvicinava più quest’aura s’ingrandiva. Gidan non guardò più la mappa la posizione, ormai si faceva guidare unicamente dall’energia. Girando a destra e poi a sinistra finalmente vide il cristallo nero. Davanti a lui vide una scena raccapricciante: un soldato, anzi un capitano a giudicare dall’uniforme, era sollevato ad almeno un metro e mezzo da terra da una luce nera che usciva dal cristallo, e si dibatteva cercando di sfuggire al suo influsso malefico. Aveva la bocca spalancata, in un urlo muto. Girando di scatto la testa vide Gidan, e gli tese la mano in segno di aiuto. Il ladro, ripresosi dallo spavento, scattò verso l’uomo e caricò l’incantesimo più veloce ma improvvisamente la mano si ritrasse. Il volto dell’uomo assunse un ghigno che era completamente diverso dall’espressione disperata che aveva prima. Cessò di dibattersi e lentamente la luce che prima lo stava permeando, lo depositò delicatamente a terra. Il soldato atterrò in piedi sul terreno polveroso, e inspirando la luce che era intorno a lui, la sua pelle cambiò dal rosa al grigiastro. Gli occhi dal marrone divennero blu scuro. Quando parlò, la sua voce era sia quella del soldato, sia la voce della creatura maligna che Gidan aveva incontrato anni prima in frammento distorto dell’esistenza e che aveva sconfitto insieme agli altri:

«Salve ragazzo… ti avevo detto che sarei tornato…»

Il volto di Gidan si fece serio di colpo. In un attimo era passato dall’essere il solito Gidan romanticone e spiritoso, ad essere l’abile combattente Tantarus. Sfoderando le daghe disse con aria di sfida:

«Trivia…»


“Bè direi che con questo finale ho messo delle ottime basi per l’anno venturo non credete? Buon anno nuovo a tutti, e che i vostri sogni possano realizzarsi!! Mai abbattersi, e mai arrendersi ci insegna questo gioco!! E questa è la massima, poichè io ho detto così!!! Ripeto il mio invito a commentare i capitoli!! Non vorrete mica vedervi arrivare a casa “Lo squadrone più potente dei fumetti” composto da: Arale, Broly, Ichigo Hollow, Lucci di One Piece, Thor e il maggiore Armstrong!! E ora il mio angolo alle risposte:

psyker: sai, l’idea di metterci le Weapon non è male, solo che riuscirebbe parecchio difficile giustificare la loro presenza, senza prendere in prestito idee dagli altri final fantasy. A me la contaminatio, se non giustificata non piace. Come invece hai notato bene, ho messo la spada proprio dove deve essere. Ho fondato la storia su questo aspetto, come vedrai.

baby91: bè direi che siamo parecchio simili!! ahahahaah! grazie tante, e continua a supportarmi (e a sopportarmi)!!

p.s: ma come cacchio si fa a mantenere i caratteri di scrittura??”


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