Tutto era pronto.
Il mattino dopo la nostra chiacchierata serale, Rikku partì per andare a cercare Paine e avvisarla dell’imminente ritorno dei Gabbiani.
Fratello e Compagno cominciarono a sistemare la Celsius, applicandoci nuovi sistemi più sviluppati, con Shinra sempre alle calcagna per controllare che facessero tutto nel modo più appropriato.
Lulu, Wakka e gli altri amici di Besaid avevano appreso della mia partenza e si erano già prodigati in mille e mille tentativi di persuasione, inutilmente, perchè ero irremovibile.
Mancava solo di dirlo ad una persona.
Passeggiavo avanti e indietro per la stanza da almeno un’ora. L’allenamento doveva essere ormai concluso, Tidus sarebbe arrivato da un momento all’altro, e io ancora non trovavo le parole per dirgli dove sarei andata dopo la sua partenza. Perchè ero così preoccupata, poi, non lo sapevo nemmeno io: d’altronde era stato lui per primo ad avere avuto l’idea di abbandonarmi.
Mi diressi alla porta, decisa ad uscire, per ritornare alla finestra, ancora più nervosa di prima. Cosa mi succedeva?
Un rumore di passi mi risvegliò dalle mie fantasticherie, subito coperto dal battito accellerato del mio cuore. Era già arrivato? Cosa gli avrei detto?
– Yunie, ci sei? – sì, era lui. E il suo tono stranamente allegro, dopo giorni di malumore, mi allarmò.
– Sono qui – gli risposi, cercando di imprimere fermezza nella voce.
Entrò nella stanza con un sorriso smagliante. Subito mi chiesi che cosa lo rendesse così felice.
– Ti devo parlare – mi disse, nello stesso momento in cui io lo dissi a lui. Con la differenza che lui rise del nostro piccolo inceppamento, io no. Se ne accorse subito.
– OK, prima tu allora – m’incitò, serio.
Colsi la palla al balzo, perchè sapevo che il mio coraggio sarebbe mancato di lì a poco.
– Rikku è venuta a farmi visita non solo perchè sentiva la mia mancanza – dissi tutto d’un fiato. – Mi ha detto che Compagno ha trovato delle nuove sfere.
Cercai di imitare il suo tentativo di far capire ciò che volevo dire senza dirlo del tutto, ma lui ancora non capiva.
– I Gabbiani stanno per ripartire, ed io andrò con loro – dissi la frase a occhi chiusi, non volevo vedere la sua espressione, che fosse vittoriosa o delusa.
Non rispose, e ci fu una pausa lunghissima. Lo guardai e lo vidi nella mia stessa posizione, ad occhi chiusi, a pensare.
– Pensavo fosse giusto dirtelo prima che partissi.
Un altro lungo silenzio.
– Dì qualcosa, ti prego – sussurrai.
– Cosa vuoi che ti dica? – anche lui parlò in un sussurro. – Ero venuto a dirti che non sarei andato a Luka, avevo detto ai Goers che rinunciavo.
Ogni sua parola affondò piano nella mia mente. Ci misi un po’ a capire ciò che aveva detto, e mi sentii malissimo, come se avessi fatto l’errore più grande della mia vita. Mi ero fatta prendere dalla mia pseudo – vendetta, e non mi aveva nemmeno sfiorato l’idea che lui potesse rinunciarvi.
Cercai di placare il mio tumulto interiore chiudendo gli occhi ed evitando di guardarlo, ma non era così semplice. Stupida, stupida, stupida. Perchè gli avevo detto una cosa simile? Non potevo semplicemente seguirlo a Luka? Seguirlo a Luka… Solo adesso pensai a quell’ipotesi.
La consapevolezza di poter cambiare le cose mi colpì come un treno in corsa. Se fossi riuscita a lasciare Besaid per andare con i Gabbiani, perchè non seguire lui?
E invece avevo rovinato tutto con la mia sconsideratezza. Capace solo di preoccuparmi per me stessa e il mio futuro, avevo compromesso una grande chance per Tidus e la sua opportunità di essere felice.
Ogni battito del mio cuore mi ripeteva quanto avevo sbagliato.
Bum, bum, bum. Stupida, stupida, stupida.
– Io… – cercai di dire, ma lui mi interruppe quasi subito.
– Non ti preoccupare, gli agenti sono ancora a Besaid. Posso tornare da loro e dirgli che ho cambiato idea.
Il suo tono era così freddo da gelarmi il sangue nelle vene. Quando lui era arrabbiato, quelle rare volte in cui qualcosa lo rendeva furioso, bisognava preoccuparsi più dei suoi sussurri che delle sue grida. Erano cento volte più dolorosi.
– Tidus, io… – ci riprovai, ma non mi lasciava parlare.
– No, Yuna, non ci provare! – ancora non urlava. – So cosa stai per dire e non cambieranno nulla le tue scuse. Non mi farai sentire in colpa, non questa volta.
Silenzio. Non lo guardai, ero io a sentirmi in colpa, e lo ammisi spudoratamente fissando il pavimento sotto i suoi piedi.
– Tu hai fatto la tua scelta – riprese. – E io la mia. Evidentemente era destino che prendessimo due strade diverse.
E se ne andò, lasciandomi a rimuginare sul destino. Lui ci credeva fermamente, pensava fossimo tutti parte di un grande disegno che incrociava strade e vite, ma in cui le nostre scelte erano fondamentali.
Aveva completamente ragione. Quasi mi faceva ridere l’ironia della situazione: la mia semi-vendetta mi si era ritorta contro.
Mi accasciai su una sedia e piansi come mai in vita mia.