Tomb Raider e la realtà – Tomb Raider: Chronicles

La saga di Tomb Raider ha fatto conoscere alle nuove generazioni città perdute, civiltà scomparse e misteri: ma qual è la realtà che si cela dietro la serie? L’obiettivo di questa sezione è proprio quello di esplorare le realtà storiche, culturali ed artistiche che si nascondono dietro le ambientazioni e gli scenari che ci vengono proposti nel corso delle diverse avventure dell’amata Lara Croft. In questa pagina sono analizzate le corrispondenze di Tomb Raider 5 nella realtà.

Il Sottomarino

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Il sottomarino è un mezzo navale progettato per operare principalmente in immersione e questa caratteristica lo distingue dal sommergibile di cui costituisce un’evoluzione. Un sottomarino può essere impiegato per scopi militari, scientifici e di soccorso, i diversi ambiti d’impiego ne determinano le caratteristiche. 

Lo sviluppo del mezzo subacqueo ha avuto impulso a partire dal 1850 in conseguenza dell’interesse militare per le sue potenzialità belliche ed ha portato il sommergibile a divenire un importante strumento della guerra marittima nel XX secolo. Dalle 200 tonnellate di dislocamento dei sommergibili realizzati nei primi anni di quel secolo si è passati alle 1 800 tonnellate (in immersione) dei sottomarini tedeschi U-Boot Tipo XXI del 1944 per arrivare ai moderni sottomarini nucleari lanciamissili balistici che possono superare le 20 000 tonnellate ed ospitare equipaggi di oltre 170 persone. 

Il progresso tecnologico nell’ingegneria navale ha avuto un ruolo fondamentale nel successo del sottomarino persino superiore a quello rappresentato dallo sviluppo di sistemi d’arma (come il siluro ed i missili a cambiamento d’ambiente) e di sensori (soprattutto il sonar) sempre più efficienti. 

Nel linguaggio marinaresco i termini sottomarino e sommergibile individuano due differenti tipologie di unità. La distinzione esiste anche in altre lingue: ad esempio in inglese si usano i termini Submarine e Submersible, in tedesco U-Boot e Tauchboot. 

Il termine sottomarino si riferisce propriamente alle unità ottimizzate a navigare e combattere in immersione piuttosto che in superficie e si applica a tutte le unità moderne. Lo spartiacque tra sommergibili e sottomarini è rappresentato dagli U-Boot Tipo XXI del 1944 (ma già la Classe R britannica della prima guerra mondiale presentava una velocità in immersione superiore a quella in superficie). Tuttavia spesso i termini sommergibile e sottomarini sono usati genericamente, come sinonimi, come testimonia lo stesso sito della Marina Militare oppure si attribuisce la definizione di sottomarino ai soli battelli a propulsione nucleare. 

Il termine sommergibile si riferisce invece a mezzi navali che presentano prestazioni in immersione (in particolare la velocità) inferiori rispetto a quelle in emersione. A questa categoria appartengono le unità progettate fino alla fine della seconda guerra mondiale, per lo più dotate di armamento cannoniero sul ponte proprio perché ottimizzate a combattere in superficie piuttosto che in immersione. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

I Mercati Traianei

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 Situato alle pendici del Quirinale, è visibile il complesso conosciuto con la denominazione moderna di Mercati Traianei. I Mercati, strutturati a livelli sovrapposti, vennero costruiti in laterizio, nei primi anni del II secolo d.C., probabilmente dallo stesso architetto che si occupò della realizzazione del Foro di Traiano; questa costruzione era destinata a funzioni commerciali (fungeva sia da magazzino statale di derrate alimentari, sia da luogo di distribuzione e di vendita di queste), sia pubbliche (probabilmente venivano ospitati uffici dell’amministrazione imperiale). L’edificio si presenta diviso in una parte superiore asimmetrica e in una parte inferiore affacciata con un grande emiciclo verso il Foro di Traiano, ma nettamente separato. Tra le due parti, ciascuna strutturata su più piani, passava una strada che iniziava dal Campo Marzio ed era conosciuta con il nome di Via Biberatica (da biber = bevanda, probabilmente collegata con la presenza di botteghe lungo la via).
L’ingresso, posto nella parte superiore dei Mercati Traianei, è situato in via IV Novembre (questa doveva essere l’entrata principale anche nell’antichità); passata l’entrata si entra in una enorme aula rettangolare coperta da una volta a sei crociere. Sui due lati lunghi di questa aula (notevolmente restaurati) si affacciano due serie di sei ambienti con le porte inquadrate da cornici in travertino e sormontate da un finestra quadrata (vedi ultima foto in basso). Sugli stessi lati si sviluppa un piano superiore formato, da ogni lato, da una serie di ambienti simili a quelli del piano inferiore, rivolti, verso l’interno, su un corridoio aperto e sormontato da archi aventi funzione di contrafforti. Da questo corridoio del livello superiore, mentre una rampa di scale conduce a un altro piano, si accede a un’ala a parte del complesso, strutturata su due piani e con diversi ambienti aventi probabilmente funzioni di uffici. Dietro a questa costruzione ne sono presenti altre, notevolmente modificate durante il Medioevo, fino ad arrivare alla Torre delle Milizie.
La Via Biberatica (attualmente in fase di notevole restauro) ha ai lati marciapiedi in travertino e su questi si aprono ampie aule un tempo destinate a botteghe. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Il Colosseo

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 La costruzione dell’ Anfiteatro Flavio ebbe inizio nei primi anni del regno di Vespasiano, nella valle compresa tra Palatino, Esquilino e Celio, che in precedenza aveva costituito il centro della Domus Aurea. L’edificio sorse sul luogo dello stagno artificiale, opera di Nerone: anche in questo caso, emerge la politica demagogica di vespasiano, che restituisce al pubblico godimento le parti della città incluse da Nerone nella sua casa gigantesca (lo stesso avverrà con le Terme di Tito, che rimpiazzeranno forse quelle private della Domus Aurea, e con le statue, sottratte all’abitazione di Nerone ed esposte nel tempio della Pace). Il Colosseo, non ancora terminato, fu dedicato una prima volta da Vespasiano prima della morte. Tito portò a termine i lavori e procedette a una seconda grandiosa cerimonia dedicatoria nell’80, che durò cento giorni; l’opera fu rifinita da Domiziano, che condusse i lavori “fino agli scudi” che decoravano l’ultimo ordine esterno. E’ probabile che solo sotto questo imperatore si siano creati i sotterranei in muratura dell’arena, altrimenti mal si comprenderebbe la notizia di naumachie (battaglie navali) date sotto Vespasiano e Domiziano; da allora infatti si parlò solo di giochi di gladiatori (munera) e cacce di animali (venationes).
L’altezza dell’anello esterno è quasi di 50 m, il diametro maggiore dell’ellissi misura 188 m, il minore 156. Si è calcolato che il travertino impiegato oltrepassasse i 100.000 m³ e il ferro necessario per le grappe le trecento tonnellate. L’anello esterno comprende quattro piani sovrapposti: i primi tre costituiti da arcate inquadrate da semi colonne, tuscaniche quelle del primo piano, ioniche quelle del secondo, corinzie quelle del terzo. Un quarto piano cieco (una sorta di attico) è scompartito da lesene, anch’esse corinzie. Ogni due scomparti si apre una finestra quadrata; una serie di mensole (tre per partizione) sono inserite a due terzi della altezza , in corrispondenza di altrettanti fori nel cornicione (in tutto 240) : qui passavano i pali che servivano a sorreggare il grande velario a spicchi, destinato a riparare gli spettatori dal sole. Una squadra di marinai del porto militare di Miseno era addetta a manovrare il velario: essi avevano stanza in un’apposita caserma, nelle immediate vicinanze dell’ anfiteatro (Castra Misenatium). Le arcate a pianterreno, 80 in tutto, davano accesso alle scalinate che portavano ai vari settori della cavea: un sistema complesso, simile a quello degli stadi moderni, che permetteva la rapida evacuazione degli spettatori. Sopra ognuno degli archi superstiti è ancora indicato il numero progressivo, che corrispondeva al numero di biglietto (tessera) di cui ogni spettatore era munito. I quattro ingressi posti in corrispondenza degli assi principali non avevano numero. L’unico di essi ancora conservato, quello settentrionale, mostra tracce evidenti di un portichetto, che lo doveva caratterizzare in modo particolare. Inoltre, sulla volta del corridoio corrispondente si notano ancora notevoli resti di stucchi figurati. era proprio questo l’ingresso d’onore che portava alla tribuna imperiale, collocata al centro del lato nord. Gli altri tre ingressi dovevano avere la stessa funzione per categorie privilegiate come i magistrati, le vestali. Quello che resta della cinta esterna è sostenuto da altissimi muraglioni costruiti nel 1820 per ordine di Pio VII. I numerosi fori tra i giunti dei blocchi furono praticati nel Medioevo per recuperare i perni di ferro. Quasi cinquant’anni fa si stabilì il sistema utilizzato per la costruzione. La presenza del bacino neroniano, una volta svuotato dall’acqua, permise di ridurre i lavori di scavo per le fondamenta. I muri radiali costruiti i blocchi di tufo al pianterreno, in mattoni al primo piano, non sono coerenti con i pilastri di travertino; ciò induce a pensare che essi siano di costruzione postweriore a quella dei pilastri. Si procedette dunque ad innalzare la gabbia portante. Fu così possibile operare contemporaneamente in basso e in alto. A causa delle diversità tecniche si può stabilire che lavorarono quattro cantieri diversi. 

L’interno del Colosseo, semicrollato e spogliato delle gradinate, può dare solo una pallida idea dell’aspetto originario; a ciò contribuisce la mancanza del piano dell’arena, che mette allo scoperto i sotterranei di servizio.Questi sotterranei avevano la funzione di ospitare tutti quei servizi che erano indispensabili per lo svolgimento dei giochi. All’interno dell’anfiteatro sono visibili grandiosi piani inclinati in blocchi di tufo, destinati a far emergere qualsiasi tipo di scenario: gli scrittori contemporanei ricordano con ammirazione l’improvvisa apparizione di colline e foreste. L’arena era coperta da un grande tavolato ligneo; ciò spiega la violenza del fuoco nel 217, quando l’incendio ebbe inizio proprio da lì. Tra essa e il corridoio veniva fissata al momento degli spettacoli, una pesante e robustissima rete di protezione sostenuta da antenne; queste erano incastrate tra due mensole, collocate più in basso. In alto, la rete, che ci è descritta da uno scrittore antico, era dotata di denti di elefanti, a mo’ di spunzoni, e di rulli di avorio ruotanti orizzontalmente, che impedivano la presa alle fiere che avessero tentato di scavalcarla. per ogni evenienza, comunque, nel corridoio che correva tra la cavea e la rete doveva essere in permanenza una squadra di arcieri, che prendevano posto forse all’ interno delle nicchie aperte nel podio. 

La cavea era divisa in cinque settori sovrapposti: dopo un gruppo di pochi gradini, immediatamente successivi alla recinzione, seguivano tre settori (maeniana), mentre un quarto, con gradinate di legno, era collocato alla sommità dell’ anfiteatro, al di sotto di un colonnato (maenianum summum in ligneis). Anche allora, come adesso, esistevano varie categorie di posti. Per accedervi non vi era alcuna differenza nella somma pagata: infatti l’ingresso era gratuito. Qui emerge chiaramente la struttura rigorosamente classista della società romana: ogni categoria della popolazione poteva accedere solo ai posti ad essa riservati. Leggi in proposito erano state promulgate fin dall’ età repubblicana. In particolare, i posti più vicini all’ arena erano riservati alla classe senatoria; i quattordici gradini successivi (il primo meniano, quindi) ai cavalieri, e poi via via scendendo nelle gerarchie sociali. Un settore di posti nel maenianum summum , quello di legno, considerato il peggiore, era destinato alle donne, da quando il Divo Augusto, per ragioni morali aveva considerato opportuno porre termine alla promiscuità nei luoghi di spettacolo (i quali, come ricorda Ovidio nell’ Arte Amatoria, erano particolarmente indicati per fare qualche piacevole conoscenza). Un documento prezioso, a questo riguardo, è costituito dai gradini superstiti: su di essi sono incise iscrizioni che precisano la destinazione dei posti. Ad esempio: equitibus romanis (per i cavalieri romani), pedagogis puerorum (per i maestri elementari), hospitibus publicis (per gli ospiti pubblici), clientibus (per i clientes, cioè, in età imperiale la plebe cittadina), Gaditanorum (degli abitanti di Cadice) ecc. Come si vede si tratta sempre di posti non individuali, ma destinati ad intere categorie di persone. Ciò risulta tra l’altro da una celebre iscrizione, databile all’anno stesso (l’80) in cui fu inaugurato l’anfiteatro, e nella quale si riporta un decreto con cui si concedono alla corporazione sacerdotale degli Arvali (12 persone in tutto) un discreto numero di posti (per una lunghezza di 129 piedi circa, cioè più di 38 metri) per gli Arvali stessi, le loro famiglie, i loro araldi, ecc.; ben inteso, in vari punti dell’anfiteatro, a seconda del rango sociale. L’unica eccezione a questa regola è costituita proprio dalle gradinate riservate all’ ordine senatorio, che erano costruite interamente di marmo (e non di mattoni, con la sola inserzione del blocco marmoreo per l’iscrizione, come nel resto della cavea). In effetti, su questi gradini sono incisi i singoli nomi, che furono sostituiti più volte e mostrano quindi cancellature e rifacimenti. I nomi che ci sono rimasti sono quindi quelli più recenti; uno studio recente di queste iscrizioni ci ha permesso di conoscere il nome di 195 senatori dell’epoca di Odoacre.
L’edificio, colpito da incendi e terremoti, fu restaurato varie volte; ci risultano lavori di Nerva, di Antonino Pio, di Elagabalo, di Alessandro Severo e forse di Gordiano. Questi disastri si intrecciano con varie limitazioni agli spettacoli, dovute all’intervento degli imperatori cristiani: all’inizio del V secolo, Onorio abolisce i giochi gladiatori. Ristabiliti all’inizio del regno di Valentiniano III, essi furono definitivamente proibiti dallo stesso imperatore nel 438. Rimasero solo le venationes, che però dovevano subire la concorrenza delle corse dei carri nel circo. L’uso dell’anfiteatro cessò con il regno di Teodorico; l’ultimo spettacolo di cui abbiamo notizia ci è ricordato da una lettera di Teodorico al console designato per il 523, Massimo, il quale chiedeva di poter festeggiare l’ assunzione della carica con una venatio. Dal VI all’XI secolo, quando sarà occupato dalla famiglia Frangipane, che ne farà un castello, sulle gradinate deserte e nell’arena vuota del Colosseo scenderà il silenzio. Accanto al Colosseo, tra questo e la via dei Fori Imperiali, è visibile sulla pavimentazione stradale il disegno di un grande quadrato, ottenuto con pietre di colore diverso. Qui era la base della statua bronzea colossale di Nerone, i cui resti furono vandalicamente demoliti per l’apertura della via dei Fori Imperiali, nel 1936. Questa statua fu eseguita su modello del Colosso di Rodi; ma quello di Roma superava i 35 metri al contrario di quello di Rodi che raggiungeva solo i 32. La statua, un ritratto di Nerone identificato con Helios, era in origine al centro dell’atrio della Domus Aurea, nel luogo dove più tardi Adriano fece costruire il tempio di Venere. Alla fine del regno di Nerone, per damnatio memoriae, alla statua furono cambiati i tratti, in modo da trasformarla in una statua di Helios. Più tardi Commodo ne farà un Ercole dandole ancora i propri tratti: ma dopo la sua morte di nuovo la statua recuperò la sembianze di Helios. Il nome di “Colosseo”, attribuito all’anfiteatro per la prima volta nell’VIII secolo, deriva non dalle proporzioni di questo, bensì dalla vicinanza della statua colossale. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

La Porta Magica e la pietra filosofale

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 Indossando uno splendido abito da sera al Teatro lirico, Lara Croft, incuriosita dal suo fiuto d’avventura, compra una pietra da Larson e Pierre. 
Subito dopo, segue un tranello e inizia una corsa attraverso le tortuose e strette stradine italiane… fino a raggiungere un cancello. 

La Porta Magica che si trova in Piazza Vittorio Emanuele II, proprio all’interno dei giardini al lato del complesso dei Trofei di Mario. Questa porta è ciò che rimane dell’antica Villa Palombara, una grande dimora barocca scomparsa alla fine del XIX secolo per far posto alla costruzione dell’odierna piazza. La Porta Magica rappresenta sicuramente una delle rovine di Roma più misteriose, ammantata dalla leggenda, di cui ancora nessuno è riuscito a carpirne i segreti.

 Villa Palombara era, appunto, di proprietà del marchese Massimiliano Palombara vissuto tra il 1614 e il 1680. Il marchese era un ardito studioso delle scienze esoteriche, ai quei tempi bandite dalla sacra Inquisizione. Nonostante i divieti e le minacce di tortura o di condanna a morte contro gli eretici, villa Palombara divenne il punto di incontro degli amanti degli studi esoterici. 

Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall’erudito Francesco Girolamo Cancellieri, uno stibeum pellegrino fu ospitato nella villa per una notte. Il “pellegrino”, identificabile con l’alchimista Francesco Giustiniani Bono, dimorò per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l’oro, il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze d’oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva contenere il segreto della pietra filosofale. 

Il marchese fece incidere sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione, il contenuto del manoscritto coi simboli e gli enigmi, nella speranza che un giorno qualcuno sarebbe riuscito a decifrarli. Forse l’enigmatica carta potrebbe riferirsi, per concordanze storiche e geografiche e per il passaggio tra le mani di alcuni appartenenti al circolo alchemico di villa Palombara, al misterioso manoscritto Voynich, che faceva parte della collezione di testi alchemici appartenuti al re Rodolfo II di Boemia e donati da Cristina di Svezia al suo libraio Isaac Vossius, e finì nelle mani dell’erudito Athanasius Kircher, uno degli insegnanti del Borri nella scuola gesuitica. 

Grazie a Nillc di Asp.com per il suggerimento.
Fonti: Rosso Pompeiano forum, Wikipedia, 06blog.it, tombraiders.it

L’Isola Nera

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 L’Isola Nera (gaelico scozzese: un t-Eilean Dubh]) è una zona orientale delle Highland Council of Scotland, nella contea di Ross and Cromarty. 

Secondo l’Encyclopædia Britannica, originariamente chiamata Ardmeanach (gaelico ard, altezza; maniach, monaco, da una vecchia casa religiosa sul crinale boscoso di Mulbuie), e il suo nome deriva dal fatto che, dal momento che la neve era assente in inverno, il promontorio appare nero, mentre la campagna circostante è bianca. 

Rosehaugh, nei pressi di Avoch, apparteneva a Sir George Mackenzie, fondatore della biblioteca degli avvocati di Edimburgo, che ha guadagnato il soprannome di “Bloody” per la persecuzione dei Covenanters. Redcastle, sulla riva, nei pressi della chiesa di Killearnana, risale al 1179 e si dice sia stata la prima casa abitata a nord della Scozia. Quando la contea decadde divenne un castello reale (visitata da Maria, Regina di Scozia), e poi passata per un periodo nelle mani dei Mackenzies di Gairloch. 

La ” Black Isle” fu luogo di una protesta della comunità contro l’agricoltura geneticamente modificata. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Zapadnaya Litsa, la base

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 Zapadnaya Litsa è la più grande e più importante base navale russa costruita per la Flotta del Nord. La base si trova nel nord della Russia, sul fiordo Litsa nel punto più occidentale della Penisola di Kola. Si tratta di circa 45 chilometri dal confine con la Norvegia. 

Coordinate geografiche: 69 ° 25’N 32 ° 26’E 

La base Zapadnaya Litsa comprende quattro strutture navali: Malaya Lopatka è stata la prima costruita ed è stata la prima ad ospitare il sottomarino sovietico K-3. Le altre sono Andreeva Bay, Bolshaya Lopatka e Nerpichya.


Nel video si sente citare il nome della base. 

Nel 1958 si formò un insediamento nei pressi della prima base navale, che è stato chiamato villaggio Zaozerny. Zaozersk è stata tenuta segreta e ha avuto diversi nomi. Si trova a 120 chilometri da Murmansk. Clima rigido con temperature variabili e venti forti, lunga notte polare in inverno (circa 43 giorni) ne fanno un luogo inabitabile. Un sacco di fiumi, torrenti e laghi, paludi e terreni rocciosi e caratterizzano la lontananza di questa zona. 

Oggi l’intera regione Zapanaya Litsa costituisce un grave problema a causa dei suoi depositi di rifiuti radioattivi. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum