Tomb Raider e la realtà – Tomb Raider II

La saga di Tomb Raider ha fatto conoscere alle nuove generazioni città perdute, civiltà scomparse e misteri: ma qual è la realtà che si cela dietro la serie? L’obiettivo di questa sezione è proprio quello di esplorare le realtà storiche, culturali ed artistiche che si nascondono dietro le ambientazioni e gli scenari che ci vengono proposti nel corso delle diverse avventure dell’amata Lara Croft. In questa pagina sono analizzate le corrispondenze di Tomb Raider 2 nella realtà.

Il Relitto della Maria Doria

Tomb Raider 2

La Maria Doria era una nave di linea affondata nell’Oceano Atlantico negli anni 60. Il transatlantico trasportava il mistico Serafo, oggetto che permette l’accesso al pugnale di Xian. 

Costruita dall’armatore Gianni Bartoli, in realtà capo di un clan della malavita, la nave era l’ultima gloriosa espressione dell’Art Decò. Quando Lara visita il relitto vede sontuose sale da ballo, piscine e un teatro che all’epoca era certamente pieno di passeggeri, entusiasti di cosa la splendida nave poteva offrire. Segreti corridoi di servizio collegavano varie parti della nave, destinati ai membri dell’equipaggio per non disturbare con le loro azioni il viaggio dei passeggeri. 

I ponti superiori del transatlantico offrivano molto confort con alcune piscine, promenade che permettevano di passeggiare sui ponti per una visione dell’Oceano estasiante. Nei ponti inferiori potenti motori producevano l’energia necessaria per la navigazione – alcuni di questi sono visibili nel relitto. 

Nulla si sa sui passeggeri. Se erano amici o perfetti ignari della setta della Fiamma Nera è sconosciuto. Fortunatamente per Lara, non ha trovato cadaveri durante l’esplorazione del relitto, a parte barracuda, squali e esseri marini che hanno trasformato la Maria Doria nel loro habitat; tra cui una murena. Si suppone che Gianni Bartoli però nell’affondamento. 

Probabilmente in quanto vi erano collegamenti tra la malavita e l’affondamento, la polizia non indagò sulle cause dell’incidente. Successivamente, il figlio di Gianni, Marco, decise di trovare il relitto per recuperare il Serafo e far luce sulle cause dell’incidente. 

Il transatlantico venne fatto affondare dai monaci del monastero di Barkhang, che posizionarono delle bombe a centro nave: lo scoppio spezzò la nave in tre tronconi, i ponti superiori si staccarono, così come la zona poppiera e la prua. Il relitto tutt’ora è rovesciato sulla chiglia. I monaci probabilmente sacrificarono le vite dei passeggeri per fermare la setta della Fiamma Nera. 

Spaccato semilongitudinale della nave

Spaccato semilongitudinale della nave 
 
C’è un errore nella sezione: si è preso come esempio una nave container, ma la Maria Doria era un transatlantico in stile anni 40/50 (è un chiaro riferimento all’Andrea Doria) quindi non è esattamente giusto. 

Nave Leonardo da Vinci

La Leonardo da Vinci è la gemella dell’Andrea Doria. 
Fonte: Rosso Pompeiano forum

Il Monastero

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Vi sono quattro grandi monasteri in Tibet: Drepung, Sera, Ganden (o Gaden) e Samye. 

Gaden 

Per trovare l’origine del Monastero di Gaden bisogna risalire all’epoca del Buddha Shakyamuni, ossia a circa 2500 anni or sono. Si narra, infatti, nei Sutra, che un giovane una volta offrì al Buddha un rosario di cristallo, ricevendone in cambio una conchiglia. Il Buddha diede al ragazzo il nome di Sumatikirti e profetizzò che, in una vita successiva, quel giovane sarebbe rinato in Tibet e avrebbe diffuso ampiamente il Dharma, la dottrina salvifica. 

Nel 1357, come profetizzato da Shakyamuni Buddha, Sumatikirti nacque in Tibet e gli fu dato il nome di Lobsang Dragpa, conosciuto poi come Tsong Khapa, dal nome del paese di nascita. Fin da giovanissimo fu seguito da grandi Maestri e presto raggiunse una straordinaria formazione scritturale, accompagnata da realizzazioni progressivamente più alte, fino al Risveglio. Nel 1409 fondò il monastero di Gaden, vicino a Lhasa. Sorse così la grande tradizione Ghelugpa del Buddhismo Tibetano all’interno della quale ebbero origine i lignaggi dei Dalai Lama e dei Panchen Lama. 

Prima dell’invasione cinese del 1959, vivevano a Gaden più di 1600 monaci. Poi, con l’inizio dell’occupazione, cominciò la distruzione sistematica della cultura e della tradizione Tibetana e Sua Santità il Dalai Lama Tenzin Gyalwa Gyatso dovette fuggire, insieme a un nutrito gruppo di abati, ghesce (dottori in dottrina Buddhista), monaci e laici. In seguito all’esodo e dopo molte disavventure, finalmente un gruppo di lama e di monaci del Monastero di Gaden raggiunse Mundgod nell’anno 1969 e ivi cominciò la ricostruzione dei Centri Educativi su 107 acri di terreno boschivo concessi dal Governo Indiano nello stato del Karnataka, strappando la terra alla fitta foresta.
Furono anni di durissimo lavoro, compiuto con le mani e con strumenti primitivi ed improbabili. Moltissimi lama morirono giovani per la fatica, per gli stenti e per le malattie. Intanto giungevano in continuazione dal Tibet altri esuli, monaci e laici, proprio come avviene tuttora. Nel 1982, finalmente, fu inaugurata da Sua Santità il Dalai Lama la prima ricostruzione del Monastero, compiuta con enorme sacrificio e con materiali poveri.
Il Monastero di Gaden è composto da due settori, per consentirne la gestione altrimenti problematica. La nostra sezione, denominata Gaden Jangtse (abbreviato in Gajang) conta ora circa 2.000 monaci, di cui oltre la metà sotto i 30 anni. I bambini sono alcune centinaia e la maggioranza dei giovani studenti sono orfani, semi orfani o appartenenti a famiglie molto povere.
Il College, che svolge anche una forte funzione sociale, impartisce l’istruzione fino al livello di Ghesce Lharampa (dottore in filosofia Buddhista); accanto alla formazione religiosa vi sono corsi di inglese, matematica e scienze sociali. Ora è attivo anche l’Istituto di Medicina Tibetana, da cui usciranno a dicembre i primi nove medici della nuova generazione, essendo appena stata recuperata questa preziosa specializzazione 

Drepung 

Drepung è il più grande monastero del Tibet, situato appena fuori la capitale, Lhasa. Viene soprannominato Mucchio di riso per l’essere costituito da un insieme caotico di costruzioni di colore bianco. Insieme a quelle dei monasteri di Ganden e Sera, la scuola di Drepung offriva il livello più alto di istruzione nei settori della filosofia e della teologia del Buddismo tibetano (Lamaismo) di scuola Gelug. Venne fondato nel 1416 da Jamyang Chojey, discepolo di Je Tsongkhapa, fondatore della scuola Gelug. 

Custodisce molti tesori, o meglio, ciò che ne resta dopo la distruzione conseguente all’occupazione cinese. Al suo interno vivevano migliaia (forse 10000) di monaci, molti furono costretti poi a fuggire, i pochi rimasti vennero uccisi durante i bombardamenti cinesi, oppure sono stati imprigionati per reati di opinione. Da alcuni anni, i monaci sono tornati ad abitare il monastero, parzialmente restaurato. 

Sera 

Sera (Se ra Theng chen gling) è uno dei tre principali monasteri del Buddhismo tibetano di scuola Gelug, oltre a quelli di Ganden e Drepung. ‘Sera’ significa ‘Siepe di Rose’. Si trova a Lhasa, Tibet. Dopo l’occupazione cinese del 1959, è stato ricostituito presso Bylakuppe, India. 

Venne fondato nel 1419, da Jamchen Chojey (Sakya Yeshe), un discepolo di Tsong Khapa. 

Come i monasteri Drepung e Ganden, ospitava tre collegi: 

Sera Mey Dratsang, 1419, dove i monaci ricevevano l’istruzione di base. Sera Jey Dratsang, 1435, il più grande, riservato ai monaci pellegrini, specialmente mongoli. Ngagpa Dratsang, 1559, dove si insegnava la disciplina Gelukpa. 

Nel 1959, Sera ospitava 5000 monaci. Sebbene gravemente danneggiato, conserva le strutture originali, ora restaurate. Attualmente ospita alcune centinaia di monaci.

Samye 

Il monastero di Samye (bSam-yas) fu il primo monastero buddhista edificato in Tibet. Fu costruito verso il 788 sotto gli auspici del sovrano Trhisong Detsen. 

Il sovrano Trhisong Detsen (Khri-srong lDe-btsan) (742 – 798), che già aveva proclamato il patrocinio del regno al Buddhismo, tentò di costruire il primo monastero buddhista in Tibet per creare una comunità monastica (Sangha) ed espandere l’influenza religiosa in Tibet, sino ad allora limitata al tempio del Jokhang a Lhasa, con funzioni circoscritte pressoché alla sola corte. A questo scopo chiamò il monaco Shantaraksita (750 – 802), già abate dell’università buddhista di Nalanda in India.
Questi individuò in Samye il posto propizio per fondare il monastero, ma dovette scontrarsi con la nobiltà locale di religione tradizionale che fieramente si opponeva al progetto. La tradizione narra di un terremoto che distrusse il primo tentativo di edificazione. 
Shantaraksita allora, nel 786, convinse il sovrano Trhisong Detsen ad invitare dall’Uddiyana in Tibet il già celebre siddha laico Padmasambhava.
La tradizione vuole che nel 787 sulla collina di Hepo Ri Padmasambhava, grazie alle arti magiche e all’uso del Vajrakila, riportasse la vittoria sui demoni che infestavano la valle di Samye. Questa vittoria simboleggia la sconfitta inflitta alle divinità del Tibet pre-buddhista, e probabilmente alla vittoria sui loro seguaci che si opponevano alla costruzione del monastero buddhista.
Shantaraksita poté quindi dare inizio a Samye, sotto la collina di Hepo Ri, ai lavori di costruzione del primo e più antico monastero buddhista in Tibet, di cui egli stesso divenne il primo abate. 

Fu proprio presso il monastero di Samye che, dal 792 al 794, avvenne il celebre dibattito tra i sostenitori del buddhismo dhyana, ovvero sostenitori dell’illuminazione diretta attraverso la meditazione, per lo più monaci cinesi, e Kamalashila, allievo di Shantaraksita, sostenitore dell’illuminazione graduale e dell’importanza della via del Bodhisattva, sostenuto da monaci di origine indiana. Alla fine la vittoria indiana non fu disgiunta da motivazioni geopolitiche. 

Nonostante il monastero di Samye sia riconosciuto come il più antico monastero Nyingmapa, tuttavia, dopo la seconda diffusione del buddhismo ad opera di Atisha, i monaci di Samye si schierarono con i lignaggi riformisti (dal XV secolo fu Sakyapa, attualmente è sede Gelugpa), pertanto non viene considerato tra i sei più importanti monasteri nyingmapa. 

Il monastero di Samye si basa sulla pianta architettonica del monastero di Odantapuri nel Bihar in India. Il perimetro è segnato da un muro circolare che sorregge 108 chorten al cui interno si trovano molti cilindri da preghiera. Nell’area interna un tempo sorgevano 108 edifici (numero sempre con riferimento a Tara), la cui disposizione era simbolica. Attualmente solo alcuni edifici sono ancora esistenti. 

Al centro del complesso si trova l’edificio che simboleggia il monte Sumeru, l’ axis mundi del Buddhismo tibetano. Al suo interno, al pianterreno, sono collocate le statue del primo abate, Shantaraksita, di Padmasambhava e di Trhisong Detsen, altre statue sono dedicate ai lama più illustri di tutti e quattro i lignaggi monastici del buddhismo tibetano. Nella sala più importante, il Jowo khang, si trova una statua del Buddha Sakyamuni (in tibetano: Sakya Thukpa) circondato da Bodhisattva. In una saletta attigua, il bgong khang, vi sono le statue irate dei dharmapala, divinità tutelari terrifiche già divinità pre-buddhiste convertite da Padmasambhava. 

All’esterno del pianterreno si apre una cappella dedicata al bodhisattva Chenresig, rappresentato con undici teste e mille braccia. 

Al primo piano ci sono gli appartamenti dedicati al Dalai Lama e una serie di statue e dipinti dedicati al Quinto Dalai Lama, a Padmasambhava e al khan mongolo Gushri; una cappella è dedicata ad Amitayus (tibetano: Tsepame). Al secondo piano si trovano delle statue del buddha trascendente Vairocana (tibetano: Namse). Al terzo piano si trova una statua di Kalacakra (tibetano: Dukhor), inteso sia come mandala che come testo tantrico. La statua rappresenta Kalacakra in Yab-yum. 

A nord si erge il tempio della Luna, mentre a sud quello del Sole. A nord-ovest sorge uno stupa nero, a nord-est uno stupa verde, a sud-ovest uno stupa rosso e a sud-est uno stupa bianco. Questi sono attualmente tutti ricostruiti (in cemento). 

Altri edifici nel monastero sono il Shetkhang, il collegio preposto agli insegnamenti; il Drayur Gyagar Ling, centro per le traduzione dei testi; il Jampa Ling dedicato a Manjusri, dove si tenne il ‘dibattito di Samye’ del 792 – 794; il Tsangmang Ling, la stamperia monastica; il Kordzo Pehar Ling dove aveva sede ‘l’oracolo di stato’ (Pehar) prima che fosse trasferito nei pressi di Lhasa nel monastero a lui dedicato di Nechung (per poi fuggire in India nel 1959). 

A poca distanza dal monastero si trova la collina di Hepo Ri, luogo della vittoria di Padmasambhava da dove si scorge lo Yarlung Tsangpo, mentre a cinque ore di cammino si trovano le grotte dove Padmasambhava era solito meditare, a Chim-puk. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Via Caravelli, Venezia

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 In questa via (che in realtà assomiglia più a un intero sestiere) vi è il palazzo dove Marco Bartoli possiede il proprio covo.


La via è molto simile a Via Garibaldi, sestiere Castello.

 Il nome del sestiere deriva da una fortificazione presente nel primo medioevo sull’Isola di Olivolo, oggi isola di San Pietro di Castello. 

Qui si trova la Basilica di San Pietro di Castello sede vescovile fino al 1807, anno in cui Napoleone la trasferì nella Basilica di San Marco, fino allora cappella del Doge ed usata solo per eventi speciali. 

All’inizio della sua storia era diviso nelle due isole Gemine e l’Isola di Olivolo, unite in seguito a costituire il sestiere attuale. 

Il sestiere di Castello è il più esteso e il secondo per popolazione della città. Paragonando Venezia ad un pesce, come nel libro di Tiziano Scarpa, Castello può rappresentarne la “coda”, essendo posto all’estremità est della città e vista la sua forma stretta prima quindi allargata e biforcuta infine. 

Esso è dunque una penisola e confina a nord-ovest con il sestiere di Cannaregio nel tratto compreso fra le Fondamente Nove e Campo Santa Marina, e a sud-ovest con il sestiere di San Marco nel tratto compreso fra la Parrocchia di San Lio e Piazza San Marco. 

Uno dei ponti che uniscono Castello col sestiere di San Marco è il ponte della Paglia che mette in comunicazione il molo della Piazzetta San Marco con la Riva degli Schiavoni, scavalcando il Rio di Palazzo (adiacente al Palazzo Ducale). 

Il sestiere di Castello è collegato a quello di Cannaregio tramite il ponte dei Santi Giovanni e Paolo che, di fronte all’omonima basilica, scavalca il Rio dei Mendicanti a pochi passi dal monumento a Bartolomeo Colleoni del Verrocchio. 

Castello è anche l’unico dei sestieri veneziani a non affacciarsi sul Canal Grande. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Piattaforma Offshore

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 La Piattaforma Offshore in realtà un idroscalo, con annessa un’area (diving) per le immersioni. Vi è un grave errore nella traduzione dall’inglese all’italiano, in quanto la traduzione giusta sarebbe ’Idroscalo al largo della costa (Offshore in italiano si usa nel linguaggio velistico c per indicare le imbarcazioni fuoribordo). 
Un idroscalo è l’aeroporto per idrovolanti, ovvero uno specchio d’acqua dotato a riva di infrastrutture per gli idrovolanti. Tipicamente per mettere in acqua i velivoli erano disponibili gru e scivoli, dalla riva fino in acqua. In questo periodo raggiunsero una certa diffusione, infatti, gli aeroporti, anche quelli ereditati dalla prima guerra mondiale erano poco più che prati ben curati, spesso non ben collegati con i centri cittadini (questo per i velivoli destinati all’utilizzo commerciale). 

Un idrovolante, rispetto ad un velivolo terrestre, non era vincolato alla dimensione delle piste disponibili, ma poteva contare, per le operazioni di decollo ed ammaraggio, su superfici virtualmente illimitate. Quindi poteva avere dimensioni e velocità di decollo/ammaraggio maggiori dei suoi contemporanei terrestri. Inoltre i velivoli commerciali e postali potevano contare sulle infrastrutture portuali già esistenti. Per questi motivi gli idrovolanti, in questa fase, risultarono vincenti sui velivoli terrestri. Nel periodo tra le due guerre gli idroscali furono utilizzati dalla Regia Aeronautica: tra i più importanti l’idroscalo di Orbetello con le famose trasvolate di Italo Balbo e l’idroscalo di Marsala in Sicilia. 

Con lo sviluppo tecnologico portato dalla seconda guerra mondiale e non meno importanti le piste preparate per i grandi bombardieri strategici, gli aerei terrestri si presero in poco tempo la rivincita sui loro contemporanei. 

Gli unici due idroscali tuttora operativi in Italia sono l’idroscalo di Enna e l’idroscalo Internazionale di Como. L’Aero Club Como dispone di una flotta con le versioni idrovolanti di aerei, famosi soprattutto per le loro versioni terrestri, come il Cessna 172 ed il Piper PA-18, ma possiede anche un Lake LA4-200 Buccaneer ed un Cessna 172XP entrambi anfibi. Sempre a Como, ha sede anche l’unica scuola di volo per idrovolanti in Italia ed in Europa. L’idroscalo di Enna è stato attivato presso il lago Nicoletti, tra Enna e Leonforte 

Grazie a Nillc per la traduzione del nome.

Il teatro dell’Opera

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 Dentro il Teatro dell’Opera, vuoto e desolato, con il Golfo mistico molto “Golfo” per via dell’acqua e poco “Mistico” dati i pietroni ruzzolanti. Con non poca fatica entreremo nel teatro dell’Opera, dovremo sistemare l’impianto elettrico per raggiungere le quinte e finire alla mercé di un fuciliere molto arrabbiato. Il livello è ispirato al Gran Teatro La Fenice. 

Il Teatro La Fenice è il principale teatro lirico di Venezia, ubicato nel sestiere di San Marco, in Campo San Fantin. Più volte distrutto dal fuoco e riedificato, è sede di una importante stagione operistica e del Festival internazionale di musica contemporanea. Ospita inoltre annualmente il concerto di Capodanno. 

Il Teatro la Fenice di Venezia venne progettato nel 1790 da Giannantonio Selva per una società di palchettisti dell’aristocrazia di Venezia; il teatro veneziano fu costruito celermente nonostante le numerose polemiche sulla sua collocazione e sulla sua struttura neoclassica. 

Ma la velocità dei tempi di costruzione non smorzò le polemiche dei gruppi contrari al nuovo teatro, i quali, puntarono le loro critiche sul lievitare oltre ogni dire delle spese rispetto agli iniziali 400.000 ducati prevenienti. 

Il concorso per il progetto era stato indetto il 1° novembre del 1789 e i lavori erano iniziati nell’aprile del 1790 sotto la direzione di Selva. Nell’arco di due anni dalla presentazione del progetto, il Teatro la Fenice di Venezia vide la luce e venne inaugurato il 16 maggio 1792 con la messa in atto de I Giochi di Agrigento di Giovanni Paisiello su libretto di conte Alessandro Pepoli. 

Il 13 dicembre 1836 il teatro andò distrutto a causa di un incendio, ma fu subito ricostruito sul modello dell’originale, ad opera dei fratelli Tommaso e Giambattista Meduna, rispettivamente ingegnere e architetto. 

Nel corso del XIX secolo è stato sede di numerose prime rappresentazioni di opere liriche di grandi autori italiani come Gioachino Rossini (Tancredi nel 1813 e Semiramide nel 1823), Vincenzo Bellini (I Capuleti e i Montecchi nel 1830 e Beatrice di Tenda nel 1833) e Giuseppe Verdi (Ernani nel 1843, Attila nel 1846, Rigoletto nel 1851, La traviata nel 1853 e Simon Boccanegra nel 1857). Proprio La traviata, alla prima, fu sonoramente fischiata dal pubblico della Fenice. 

Nel 1937 il teatro fu restaurato su progetto di Eugenio Miozzi.

 Il teatro dopo l’incendio 

Il 29 gennaio 1996 fu completamente (e nuovamente) distrutto da un incendio doloso: le fiamme furono appiccate da un elettricista, Enrico Carella, nel tentativo di evitare penali contrattuali per un ritardo nel suo operato. 

Il teatro è stato riedificato – nello stile del precedente – in circa otto anni. 

I lavori di doratura della sala distrutta dalle fiamme sono stati eseguiti dall’azienda fiorentina Giusto Manetti Battiloro. 

Il 14 dicembre 2003 è stato inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con un concerto diretto da Riccardo Muti, che ha aperto le celebrazioni di una Settimana inaugurale. 

Durante i lavori, le rappresentazioni dell’ente lirico veneziano hanno avuto luogo al Palafenice, una struttura provvisoria appositamente creata al Tronchetto, e al Teatro Malibran. 

Dal 1° gennaio 2004, sempre per festeggiare la riedificazione del famoso teatro, vi si svolge, in contemporanea (e, si può dire, in concorrenza) al Musikverein di Vienna, il Concerto di Capodanno, in cui vengono eseguiti pezzi d’opera lirica, in particolare italiana ma anche straniera. 

Esiste a Cannaregio il Teatro Italia, che probabilmente è oramai chiuso da anni. Non si ritiene che la Core abbia fatto ricerche così nel dettaglio (e ricordiamo che TRII è del 1997) e quindi è più plausibile l’abbinamento Opera House- La Fenice. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

La Grande Muraglia

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 La Grande Muraglia, nota in Cina come Wanli changcheng, consiste in una lunghissima serie di mura edificate nell’odierna Cina. La sua costruzione cominciò nell III secolo a.C. (circa 215 a.C.) per volere dell’imperatore Qin Shi Huangdi, lo stesso a cui si deve il cosiddetto Esercito di terracotta di Xi’an e l’ancora inviolato tumulo sepolcrale. 

Nonostante il nome cinese, la lunghezza della muraglia è stata, fino a poco tempo fa, considerata di 6.350 chilometri con altezze variabili. Dalle misurazioni ottenute con le più recenti strumentazioni tecnologiche (raggi infrarossi, Gps) la Grande Muraglia sarebbe lunga 8.851,8 chilometri, circa 2500 chilometri in più dei 6.350 stimati. 

Doveva servire a contenere le incursioni dei popoli confinanti, in particolare dei Mongoli, ma non si rivelò molto efficace, perché gli invasori riuscivano spesso a sfruttare i punti deboli rappresentati dalle porte che, giocoforza, la muraglia doveva avere. 

E’ stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità nel 1987. E’ stata inserita nel 2007 fra le sette meraviglie del mondo moderno. 

Viene spesso indicata come l’unica opera umana visibile dallo spazio (o addirittura dalla Luna), un’affermazione che, per quanto suggestiva, è priva di ogni fondamento. Il motivo è molto semplice: anche se lunga 8.851,8 chilometri, una misura teoricamente distinguibile dallo spazio, la Grande Muraglia è però larga meno di 10 metri, pertanto già a un centinaio di chilometri di altezza, e a maggior ragione da migliaia o centinaia di migliaia di chilometri, essa sarebbe irrimediabilmente al di fuori del potere risolutivo dell’occhio umano. Effettivamente, molti astronauti hanno riferito al quartier generale della NASA di non aver mai notato la serpeggiante costruzione, se non usando il binocolo. Essa, forse, si potrebbe distinguere dal paesaggio a occhio nudo in condizioni eccezionali di visibilità. In ogni caso, dalla Luna è assolutamente impossibile vederla, poiché a quella distanza la Terra appare una “meravigliosa sfera, principalmente bianca, con un po’ di blu e qualche zona gialla e occasionalmente un po’ di vegetazione verde”. 

* L’espressione Grande Muraglia . viene spesso utilizzata per simboleggiare qualcosa di enorme che può impedire l’accesso a qualcosa. Per analogia, una grande struttura astronomica è stata chiamata in questo modo, vedi Grande Muraglia (astronomia). 

* Una leggenda vorrebbe che gli schiavi morti durante la costruzione venissero seppelliti all’interno della muraglia. In realtà resti umani sono stati trovati nei pressi delle mura ma mai all’interno. Del resto i corpi, decomponendosi, avrebbero potuto destabilizzarne la struttura. 

* Nei primi anni del duemila è risultata l’opera architettonica più votata in un sondaggio effettuato, con metodologie piuttosto controverse, al fine di stabilire un insieme di opere che potessero essere considerate le Sette meraviglie del mondo moderno. 

* Il gioco da tavolo del Mahjong, inventato nel XIX secolo, celebra nel proprio svolgimento la costruzione della Grande Muraglia grazie a tessere particolari in avorio e bambù simili a mattoncini (le stesse usate nel solitario). Le prime fasi del gioco sono la costruzione della muraglia e l’apertura della breccia. 

Fonte: Wikipedia

Isole galleggianti

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 Il termine xian (o xianren o il più moderno shenxian), è un sinogramma composto dalle parole persona e montagna e che viene generalmente tradotto come immortale o santo taoista. Lo si trova menzionato nel Tao Te Ching, nello Zhuangzi e in numerosi testi taoisti del periodo dei regni combattenti. Il termine designa esseri mitologici dai poteri sovrannaturali la cui residenza è solitamente collocata in un luogo altrettanto mitico, le grotte celesti o terre della felicità, isole galleggianti o ancora isole mistiche . Lo stato di immortalità è ciò a cui ambiscono le pratiche taoiste, accessibile attraverso pratiche spirituali. Nel Taoismo moderno la nozione di immortalità è andata evolvendosi, perdendo le connotazioni favolistiche e andando ad identificare queste creature con il termine shenxian, spirito immortale. L’obiettivo del taoista è dunque quello di raggiungere l’immortalità spirituale

Secondo le dottrine mistiche del Taoismo, gli xian, come dopotutto anche gli shen, sono soliti manifestarsi ai sensi umani in luoghi in cui il confine tra il mondo terrestre e i mondi trascendenti ad esso si assottiglia: le montagne, i mari, le isole, i fiumi, le caverne, le paludi. Esistono luoghi particolari in cui la tradizione attesta spesso l’apparizione di queste energie, ad esempio i monti Wudang (vedi immagine sotto). ma in quanto essi sono spiriti della natura e manifestazioni del Tao, possono essere percepiti ovunque, come nello scorrere dell’acqua o nel germogliare di una pianta. 

Esiste una classificazione dei mondi mistici da cui questi esseri proverrebbero. L’attuale corrente Quanzhen sostiene l’esistenza di dieci di queste dimensioni mistiche, che vengono chiamate in vari modi: grotte celesti, isole galleggianti, isole felici. Tre di queste dimensioni trascendenti prendono il nome di Penglai, Fangzhang (menzionate entrambe dalle origini della mitologia cinese) e una terza che ha cambiato il nome da Yingzhou in Kunlun . 

Mentre nel Taoismo moderno questi mondi sono considerati mistici, trascendenti e quindi non visibili, non percepibili e non penetrabili dall’uomo se non dopo anni di coltivazione del Tao, gli imperatori dell’antica Cina tendevano ad identificare questi regni con terre realmente esistenti e li immaginavano come luoghi di custodia di chissà quali tesori, tanto che l’imperatore Qin Shi Huang inviò delle spedizioni alla ricerca di questi luoghi, e soprattutto delle erbe dell’immortalità. L’antica mitologia colloca sull’isola di Fangzhang la residenza della divinità che governa gli dèi delle acque e i draghi; mentre identifica Penglai, la più importante, come il luogo di accesso ai nove cieli superiori e luogo dove risiede il guardiano di questi ultimi.

Fonte: Wikipedia

Il Tempio dello Xian

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 Il nome potrebbe essere ispirato alla città di Xian, conosciuta per l’Esercito di Terracotta. 

Xi’an, nota in Italiano anche come Sian, è il capoluogo della provincia dello Shaanxi nella Cina e città sub-provinciale. 

Conosciuta come una delle più importanti città nella storia cinese, Xi’an è nella lista della Quattro Grandi Capitali Antiche della Cina perché fu capitale di ben 13 dinastie, incluse la Zhou, la Qin, la Han e la Tang. Xi’an è la fine più orientale della Via della Seta. La città ha più di 3.100 anni di storia. Era chiamata Chang’an nei tempi antichi, oppure Hao ancor prima. 

Xi’an è la più grande e più sviluppata città nel centro della Cina nord-occidentale e si posizionata fra le prime città cinesi per popolazione. E’ anche sede universitaria di rilievo. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum e Wikipedia