Mancavano poche ore al sorgere del sole e il popolo di Alexandria era ancora sotto le coperte a sognare; ignaro di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Solo un’anima solitaria era rimasta sveglia a vagare nella notte…
Barcollando e con la bottiglia di vino mezza vuota nella mano tremante, tentava invano di smaltire la sua ultima sbronza. (ennesima; secondo la moglie.)
– Viino, vinelloo!! … hic! –
Intanto, al castello, i Tantarus erano pronti a partire per il grande regno di Lindblum; sede del loro covo.
Kalò sapeva di aver sfidato fin troppo la sorte e, per evitare spiacevoli sorprese, aveva deciso di lasciare la città la sera stessa.
Tenendo ben salde le mani sul raffinato timone di legno intarsiato, prese parola senza un briciolo di esitazione.
– Bene, picciotti. Si parrrte, ah! –
Fortunatamente, il resto dell’equipaggio non era altrettanto distratto…
Uno strano figuro dalla corporatura vagamente simile ad un minotauro, ma dall’aspetto tutt’altro che minaccioso, si fece avanti;
pronto a scombussolare i piani del suo capo.
– Boss! Gidan e Blank non trovvo! –
Esclamò Puddu, con il classico accento sardo tipico della sua famiglia.
Kalò si voltò di scatto, guardandosi intorno spaesato, come se si fosse accorto solo in quel momento dell’assenza dei suoi più fedeli compagni di scorribande.
– E dove sono, ah?! –
Lo sfortunato Blank, correva a perdifiato lungo il borgo del castello; in preda all’ansia come un povero moguri inseguito da un behemoth inferocito…
“Siamo nella m—a!”
Appostato sulla prua dello Scenalante, Poddu (gemello di Puddu), aspettava speranzoso l’arrivo dei suoi compagni,
scrutando con la massima attenzione il borgo alla ricerca del più piccolo indizio sulla loro presenza.
– Blank arrivatto è! –
Esclamò, appena il suo acuto sguardo (?!) notò una strana ombra dirigersi a tutta birra verso il Primavista,
con le braccia che si dimenavano freneticamente in aria; come in un improvviso attacco di pazzia. (…)
Gli abbracci amichevoli del Boss erano capaci di stritolare chiunque; letteralmente.
– Picciotto! Mi ero prrreoccupato, ah! –
font-family:”Centaur”,”serif”;Blank si sentiva soffocare. Se il capo non lo mollava in quell’istante, era sicuro che ci avrebbe lasciato le penne.
Come se non ne avesse già passate abbastanza, quella sera…
– Dov’è Gidan, ah? –
Chiese Kalò, tenendolo ancora ben stretto nella sua morsa. Che si fosse dimenticato di lasciarlo andare?
“Ora basta!” La pazienza di Blank, era ormai agli sgoccioli; con le ultime forze che gli rimanevano, riuscì a liberarsi da quella stretta mortale;
poi, mettendosi ad una distanza di sicurezza e prendendo più volte fiato, iniziò a parlare, cercando di mantenere la calma.
– Beatrix l’ha preso! L’hanno rinchiuso nella torre est! –
Gidan intanto, confinato nella sua minuscola, sporca, buia e fredda cella in cima ad una torre traballante,
guardava, sconsolato, un punto indefinito di quel rozzo pavimento mezzo rotto.
– Accidenti… –
Disse ad alta voce, lanciando uno sguardo alle robuste catene che gli imprigionavano i polsi doloranti.
– … erano davvero necessarie? –
I suoi tristi pensieri furono interrotti da delle voci.
Alzò la testa, puntando gli occhi azzurri sul grosso e robusto portone di legno che lo teneva bloccato dentro quel posto angusto.
– Lo voglio vedere in faccia… quel miserabile! –
“E dicono che i ladri sono maleducati!” Pensò irritato, mentre buttava uno sguardo fuori dalla stretta feritoia che lasciava passare solo un minimo di luce,
perfino nelle giornate in cui il sole spaccava le pietre. Il vecchio portone, si aprì con un cigolio sinistro e una sinuosa e minuta figura entrò nella tetra cella.
– Ti prego, perdona le mie parole. –
“La sua voce è così dolce… e stranamente familiare.” Gli occhi del ladro si ridussero a due fessure, tentando di mettere a fuoco chi gli stava di fronte.
La fanciulla, a quel punto, si avvicinò di più, fermandosi all’altezza della sottile feritoia; solo allora, illuminata dalla fioca luce delle stelle, Gidan la riconobbe.
– Principessa?! –